"L'infanzia di Gesù" di Joseph Ratzinger e la Dottrina sociale della Chiesa (Prima parte)

Intervento di monsignor Giampaolo Crepaldi nella presentazione del libro a Trieste

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Venerdì 22 febbraio, alle ore 16.30, si è svolta a Trieste presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose la presentazione del libro “L’infanzia di Gesù” di Joseph Ratzinger Benedetto XVI. Riportiamo oggi la prima parte dell’intervento pronunciato da monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste.

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Premessa

Il libro “L’infanzia di Gesù” esce dopo cinque anni dalla pubblicazione del primo volume su “Gesù di Nazaret”, avvenuta nel 2007. Tra i due libri si colloca la seconda parte che ha visto la luce nel 2011. Si tratta, come si vede anche solo dai tempi di esecuzione, di un’opera corposa e impegnativa. Mi sono chiesto se la lettura dei tre volumi secondo l’ordine di pubblicazione sia quella più conveniente. Nulla escluderebbe, infatti, che si partisse da questo terzo volume dedicato all’Infanzia di Gesù. Sono però convinto che l’ordine giusto sia quello voluto da Benedetto XVI e che il libro sulla nascita del Salvatore fino al suo ritrovamento nel Tempio all’età di dodici anni sia da leggersi alla luce dei due precedenti volumi. Questo criterio vale soprattutto per chi, come me, si accosti a “L’infanzia di Gesù” da una prospettiva molto particolare come quella della Dottrina sociale della Chiesa. Una prospettiva apparentemente strana o addirittura temeraria se rivolta ai racconti dell’Infanzia. Cosa mai ci può dire – si potrebbe pensare – questo libro del Papa circa la dimensione sociale e politica del Vangelo? Ed infatti, a leggere il testo, non solo non appare l’espressione “Dottrina sociale della Chiesa”, che si può invece trovare nel primo volume alla pagina 156 dell’edizione italiana, ma a prima vista sembra proprio che la narrazione si muova su altri piani.

Solo a prima vista, però. Infatti, a ben riflettere, se la Dottrina sociale della Chiesa si fonda sulla Parola di Dio e ne mostra le conseguenze nella vita sociale e politica, come può essere estranea alla Parola di Dio incarnata nel Bambino di Betlemme? Solo che spesso quanto è in sé evidente non lo è per noi. Ecco perché i due volumi precedenti sono utili per illuminare questo terzo libro del Papa per quanto riguarda i suoi nessi con la Dottrina sociale della Chiesa. E’ per questo che farò qualche riferimento anche ai due volumi precedenti.

Il Vecchio e il Nuovo Testamento

Un primo punto di fondamentale importanza è l’impegno di Joseph Ratzinger a presentare Gesù come il compimento delle attese messianiche del popolo di Israele. Nel primo volume su “Gesù di Nazaret” (2007) questo tema veniva sviluppato nel dialogo con lo studioso ebreo Jakob Neusner. Cristo costruisce una comunità nuova e così facendo fa morire l’ “Israele eterno” che si fonda sulla Torah; fa morire la famiglia e la stirpe, i legami della carne, distrugge la legge del sabato e non offre alcuna struttura sociale realizzabile concretamente ma un “Nuovo Israele” portatore di una promessa universale. Neusner capisce che questa “pretesa” può derivare solo da Dio, ma non rinuncia all’Israele eterno, alla comunità fondata sul sangue e sulla legge. Benedetto XVI, invece, pensa che Gesù non superi la Torah ma la porti a compimento. E’ un punto fondamentale di tutto il libro, dalle ripercussioni notevoli per la Dottrina sociale della Chiesa. Fondando una comunità universale, il cristianesimo ha liberato gli ordinamenti politici e sociali concreti dalla immediata sacralità e quindi ha fondato la laicità, ma non ha eliminato la Torah, l’ha affidata ad una ragione ormai capace di discernere, elemento che era presente anche nella Torah stessa: «non viene formulato un ordinamento sociale; sicuramente, però vengono premessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia, come tali non possono trovare realizzazione piena in nessun ordinamento sociale” (p. 155). Nasce qui la Dottrina sociale cristiana (p. 156). Aggiungeva Benedetto XVI: «La tentazione oggi largamente diffusa di interpretare il Nuovo Testamento in modo puramente spirituale, privandolo di ogni rilevanza sociale e politica, va in questa direzione» (p. 150). In quale direzione? Nella direzione di liberare il Nuovo testamento dal Vecchio, la legge nuova dalla Torah, la legge della domenica da quella del sabato. Non è possibile eliminare la Legge antica: essa permane, inverata e superata, nella Legge Nuova, che è Gesù stesso. La dimensione sociale delle norme sul sabato non viene negata dal divieto di anteporre il sabato all’uomo, ma ripresa e confermata in una Nuova Alleanza, a dimostrazione che Gesù si pone come Dio.

L’unità tra Vecchio Testamento e Gesù Cristo come “Nuovo Israele” è quindi di importanza fondamentale per la Dottrina sociale della Chiesa e per i rapporti tra ordinamento della civiltà degli uomini e salvezza cristiana. Su questa base è possibile intendere la Dottrina sociale della Chiesa come un messaggio universale di salvezza rivolto anche all’ordine sociale, senza tuttavia che questo comporti la sua sacralizzazione. Questo punto spero risulterà evidente da quanto dirò in seguito.

(La seconda parte dell’intervento verrà pubblicata domani, domenica 24 febbraio)

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ZENIT Staff

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