Riprendiamo di seguito la prolusione tenuta lunedì 3 marzo dal Rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, alla III edizione della Scuola di formazione politica, promossa dal Movimento PER (Politica Etica Responsabilità).
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Cari Amici,
ringrazio vivamente i dirigenti del Movimento “Politica, etica, responsabilità”, in particolar modo la dottoressa on.le Olimpia Tarzia, per aver avviato la terza edizione della “Scuola di Formazione Politica”. Sono molto lieto che essa possa svolgersi in sinergia con l’Università Pontificia Lateranense, l’Università del Papa per antonomasia, e, dunque, all’interno di una cornice appropriata, in quanto l’argomento che svolgiamo, i principi non-negoziabili, è stato introdotto nella riflessione culturale dal Magistero pontificio. Mi pare che il successo ottenuto nei due anni precedenti ci solleciti a dare ulteriore slancio a questa iniziativa e ad altre che si pongono nella stessa direzione, quella di fornire alla politica le motivazioni alte e nobili suggerite dall’etica, e quella di stimolare l’etica all’impegno, faticoso certo, ma ineludibile, della politica.
Per avviare la nostra riflessione, permettetemi di richiamarvi la definizione dei “principi non-negoziabili”. A tale scopo, utilizzerò le parole che già due anni fa rivolsi a coloro che presero parte alla prima lezione del corso. “I principi non-negoziabili – dicevo allora – sono «principi», dunque postulati indimostrati perché dotati di una loro evidenza di ragione, che stanno all’inizio, cioè alla base di una successiva argomentazione morale, destinata successivamente a entrare in dialogo con mores et ius, ossia, a ispirare, da una parte, l’organizzazione e lo sviluppo della cultura, dall’altra la regolamentazione giuridica in uno stato di diritto”.
Tra i principi non-negoziabili si staglia “il riconoscimento e la promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio”. È questo un argomento di scottante attualità, all’interno della Chiesa, che si appresta a celebrare un Sinodo dedicato a questi argomenti, e fuori della Chiesa, perché imponenti fenomeni sociali e ripetuti provvedimenti giuridici stanno modificando in radice l’istituto familiare. Mi piace ricordare l’incontro, per alcuni tratti persino commovente, svoltosi il 14 febbraio scorso, quando il Papa Francesco ha incontrato i fidanzati prossimi alla celebrazione delle loro nozze. Con il suo stile inconfondibile, egli ha descritto la vita matrimoniale come una delicata opera di “artigianato”, e ha spiegato che coniugi e figli, lentamente e amorevolmente, plasmano un oggetto molto prezioso con le loro mani e il loro cuore: crescono insieme in umanità. Ecco le sue parole: “I figli avranno questa eredità di aver avuto un papà e una mamma che sono cresciuti insieme, facendosi – l’uno all’altro – più uomo e più donna!”.
Un papà, una mamma, uniti in matrimonio, e dei figli che si arricchiscono in umanità: ecco che cos’è la famiglia, secondo Francesco! L’attuale Pontefice, dunque, con l’originalità comunicativa del suo approccio a questi temi così controversi, si pone in perfetta continuità con l’insegnamento del suo predecessore, a me tanto caro, che nel 2006 ai membri del Pontificio Consiglio della Famiglia, dichiarò:
“La famiglia fondata sul matrimonio costituisce un “patrimonio dell’umanità”, un’istituzione sociale fondamentale; è la cellula vitale e il pilastro della società e questo interessa credenti e non credenti. Essa è realtà che tutti gli Stati devono tenere nella massima considerazione, perché, come amava ripetere Giovanni Paolo II, “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia””.
È dunque in gioco un patrimonio che, se dilapidato, renderà indiscriminatamente tutti quanti più poveri, persone e comunità, popoli e Stati. Anche se la Chiesa Cattolica dispone di una sua “teologia della famiglia”, quando essa parla della “non-negoziabilità” del riconoscimento e della promozione della famiglia naturale fondata sul matrimonio e del rifiuto dell’adozione di istituti giuridici che, direttamente o indirettamente, la indeboliscano, fa appello al logos, al ragionamento, al bene comune. Su questa linea di appello alla ragionevolezza si pongono le mie riflessioni successive esposte in modo non del tutto sistematico, ma legate proprio da questo invito a ragionare per trovare punti di accordo, senza che steccati invalicabili finiscano per creare una conflittualità permanente, dove non ci saranno vinti e vincitori, ma dove è in palo “l’avvenire della famiglia”.
Inizio con tre fatti di cronaca, e da ciascuno di essi traggo una considerazione e una domanda.
Il primo episodio riguarda la Francia dove, come sappiamo, non molto tempo fa, il Parlamento ha approvato la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, nonostante una presa di posizione molto critica da parte di una porzione consistente della società e dell’opinione pubblica, il cosiddetto movimento Manif pour tous, che ha sorpreso per la quantità di persone che in esso si sono riconosciuti, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa, e per la qualità degli interventi. Bene, in Francia, come si può apprendere consultando le notizie in rete, è stato stampato un testo da distribuire nelle scuole primarie, intitolato “Papa porte la robe”, ossia “papà indossa la gonna”. Lo scopo dei promotori della pubblicazione è, evidentemente, quello di impedire che nei bambini si installi la convinzione che la persona umana è naturalmente definita come maschio o femmina. Tale convinzione, infatti, è di ostacolo alla ben nota teoria del gender, secondo la quale occorre scegliere il proprio orientamento sessuale. La pubblicazione di questo opuscolo fa parte di un programma scolastico molto più articolato, teso alla destrutturazione della distinzione tra maschio e femmina, programma che, per avere successo, deve essere impartito sin dall’infanzia, nonostante la protesta crescente di molti genitori, classificati, naturalmente, come Genitore 1 e Genitore 2.
In ogni caso, mi pare molto significativo che i sostenitori della teoria del gender attribuiscano grande importanza alla “rieducazione” dei bambini, riconoscendo implicitamente che i piccoli, spontaneamente, istintivamente, ossia, naturalmente, percepiscono una differenza sessuale, e successivamente la identifichino in ruoli e simboli, come nel caso particolare dell’abbigliamento.
E se avessero ragione i bambini, nella loro percezione spontanea?
Il secondo episodio si è verificato, in questi ultimi anni, in Estonia, una piccola repubblica del Mar Baltico, dove, si noti bene, la comunità cattolica è costituita da una sparuta minoranza. Anche qui, secondo un piano che a molti appare prestabilito per legalizzare gradualmente in tutti paesi del mondo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è iniziato un processo parlamentare per perseguire questo scopo. All’interno della società civile è nato un fenomeno di resistenza che ha portato a una raccolta di firme per conservare inalterata la disciplina vigente, che definisce il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna. Quando il leader del movimento, il prof. Vooglaid, si è presentato al Presidente del Parlamento, la signora Ena Ergma, che pure ha promesso il suo impegno in favore della petizione dei firmatari, si è svolto un dialogo di questo tipo: “Nel corso dei secoli, la famiglia – ha dichiarato il presidente del Parlamento – ha subito numerose trasformazioni”. “Certo, ma esse non hanno mai intaccato la sua essenza, ossia la sua fondazione sul matrimonio tra un uomo e una donna”, ha replicato il prof. Vooglaid. Mi sembra che questa affermazione meriti molta attenzione. L’umanità è vissuta insieme alla famiglia, istituzione questa,
sociologicamente, giuridicamente, religiosamente poliedrica, ma mai organizzata a prescindere dal matrimonio tra uomo e donna. Umanità e matrimonio eterossessuale: simul stabunt, simul cadent, sembrerebbe la conseguenza delle parole del prof. Vooglaid. E poiché ho usato la lingua latina, che, come sapete, amo molto, mi permetto di parafrasare un’espressione di Cicerone, nel De officiis, che definì il matrimonio eterosessuale seminarium reipublicae. Possiamo dire davvero seminarium humanitatis.
Insomma, mi chiedo, vi chiedo: e se avesse ragione il prof. Vooglaid e, con lui, Cicerone?
Il terzo episodio riguarda invece la Nigeria, uno dei paesi emergenti dell’Africa. Dispiace che i media si occupino di tante questioni irrilevanti e dimentichino di dare rilievo a fatti che, anche se politically uncorrect, interessano un grande paese dove vivono oltre 160 milioni di persone, insomma quasi quanto quelle dei paesi europei dove il matrimonio omosessuale è stato legalizzato.
Nel gennaio scorso il presidente di quello Stato, Goodluck Jonathan, ha firmato il Same Sex Marriage Prohibition Bill, la legge che rende illegali nel paese i matrimoni e le relazioni omosessuali. Coraggiosamente il Vescovo di Jos, Ignatius Kaigama, ha espresso il suo compiacimento a nome della conferenza episcopale nigeriana, rivendicando il diritto degli Africani di non subire un neocolonialismo culturale che imponga, spesso con ricatti di tipo finanziario, modelli di vita del tutto estranei alla cultura dei popoli dell’Africa. Lo stesso portavoce del Presidente ha dichiarato che “oltre il 90% dei nigeriani si oppone ai matrimoni fra persone dello stesso sesso. La legge è dunque in linea con le ragioni culturali e religiose del nostro popolo”. Approfondisco questo concetto. In Africa, nonostante i fenomeni di globalizzazione culturale siano galoppanti, resiste tenacemente una sorta di “innocenza” spirituale, ormai persa nel mondo occidentale. Quando parlo con i Vescovi africani, durante i miei viaggi in quel continente o in occasione delle loro visite alla PUL, quando incontro gli studenti dell’Università Lateranense provenienti dai paesi africani, quando ricordo le GMG alle quali, come salesiano, ho avuto la gioia di prendere parte, emerge incontestabilmente che l’uomo africano ama la vita e che la fecondità è un valore indiscutibile che dà gioia e speranza. Per questo motivo, le unioni omosessuali sono sentite come qualcosa che, mentre esercita un sopruso intollerabile per l’anima africana, risulta del tutto innaturale.
Domando: non dovrebbe anche una certa cultura occidentale, che rivendica unilateralmente solo i diritti illimitati dell’individuo, mettersi in ascolto della voce dei popoli dell’Africa che ci ricordano che la bellezza e la fioritura della vita sono associati all’unione tra uomo e donna? In altre parole, se avesse ragione il presidente Jonathan Goodluck e con lui i 160 milioni di Nigeriani?
Tre domande. Se avessero ragione i bambini? Se avessero ragione gli Estoni che non vogliono il matrimonio omosessuale? Se avessero ragione i Nigeriani? In altre parole, l’appello all’esercizio della ragione richiede che si ascoltino tutte le sensibilità e sia riconosciuta piena dignità a tutte le argomentazioni, senza mettere sbrigativamente a tacere l’interlocutore, minacciandolo di omofobia.
Ripercorrendo i tre episodi che ho citato, ho insistito molto sulla non-negoziabilità del matrimonio eterosessuale. Tuttavia il principio è più articolato. Esso comprende pure l’indisponibilità ad equiparare alla famiglia fondata sul matrimonio altre forme di unione, siano pure eterosessuali. Mentre rimane indiscutibile l’inviolabilità dei diritti delle persone in quanto individui, allorché si rivendicano diritti per forme di vita comune, la società, attraverso l’ordinamento giuridico, ha il dovere di integrare armoniosamente le esigenze del bene comune con quelle dei singoli soggetti. In questo senso, la famiglia fondata sul matrimonio vanta un’eccellenza rispetto ad altri tipi di legami.
Cedo ora la parola a voci del pensiero laico proprio perché il nostro discorso è di natura razionale e non confessionale.
Mi hanno incuriosito i titoli di libri, già di per sé eloquenti, di un sociologo e demografo italiano, Roberto Volpi: “La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti”, “Liberiamo i bambini. Più figli, meno ansie”. In questi saggi, la famiglia, costituita sul matrimonio, aperta alla generazione e all’educazione di nuove vite, è descritta con la categoria di responsabilità. E, lo comprendiamo tutti, senza responsabilità non c’è micro e macro comunità che regga.
Il matrimonio nobilita sia il percorso che l’approdo: il percorso, perché ha comunque trovato il modo di concludersi con un’inequivocabile assunzione di responsabilità; l’approdo, perché quell’assunzione di responsabilità introduce alla formazione di una nuova famiglia, con tanto di figli a seguire.
La responsabilità e la solidarietà, che caratterizzano le relazioni all’interno di un circuito familiare sono una ricchezza per tutta la società civile. Nelle famiglie si accumulano beni immateriali, risorse spirituali, accompagnati, proprio perché prodotti e custoditi in famiglia e non in altre aggregazioni umane, da volontà di durata e fiducia nella vita. A tal proposito, vorrei citare un dato interessante, messo in evidenza tempo fa, durante un convegno, dall’avvocato Giovanni Formicola, e che riguarda la società italiana: “Nel 1946-47, un tempo drammatico e di rovine, si celebrarono in Italia, tutti in Chiesa praticamente, 850 mila matrimoni. Dieci ogni mille abitanti per anno. E poi l’Italia fu ricostruita, crebbe, conobbe un boom mai più ripetuto. Nel 2010 si sono celebrati in Italia 217 mila matrimoni, vale a dire 3,6 ogni mille abitanti, circa due terzi in meno. E l’Italia è in crisi. Il matrimonio responsabilizza, induce all’austerità, al risparmio, alla laboriosità e al sacrificio”.
Con espressioni non meno convincenti, in un’intervista al Corriere della Sera, qualche anno fa, parlando della crisi economico-finanziaria che attanaglia il nostro Paese, Ettore Gotti Tedeschi suggeriva: “Riprendere a fare figli, ma in una famiglia vera, fatta di papà e mamma, fondata sul matrimonio. Non lo dico da moralista, ma da economista. Prima ancora di pensare a mettere a posto regole e strumenti della finanza, bisogna rimettere a posto l’ uomo, ridandogli un vero ruolo nell’ universo e nella natura. Tutti oramai paiono protesi a rivendicare il proprio diritto alla felicità, ma in verità tutti restano tragicamente soli ed avviliti in quella parodia di famiglia fondata su cangianti e mutevoli e sessualmente ambigui legami affettivi che solo l’ipocrisia contemporanea può osare etichettare come matrimonio”.
In altre parole, senza famiglia fondata sul matrimonio, gli individui sono decurtati di una loro dimensione antropologica, e la società civile viene resa più vulnerabile.
Vorrei avviarmi alla conclusione con un ultimo grappolo di considerazioni, suscitate sempre dal richiamo alla ragione. Espressione emblematica e matura del suo esercizio, nel suo ambito filosofico-critico, e pratico-giuridico, è stato il mondo greco-romano, da lunghi anni oggetto del mio studio e del mio insegnamento. Ebbene, un dato inequivocabile che emerge dalle testimonianze letterarie e archeologiche del mondo greco, giunte fino a noi, recensite scrupolosamente da uno studioso italiano, Francesco Colafemmina, in un volume uscito due anni fa e che confuta molte mistificazioni, dà prova che solo il matrimonio eterosessuale era ritenuto lecito. I più grandi maestri del pensiero greco antico pensano che le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso, tanto maschile quanto femminile, siano del tutto contrarie al diritto naturale. L’insegnamento del mondo greco fu attuato in quello romano, con la promulgazione di una legislazione sul matrimonio, in sostan
za giunta immutata fino ai nostri tempi, prima della rivoluzione culturale e sessuale degli ultimi quarant’anni. Sarebbe imprudenza rifiutare quell’eredità formulata dalla ragione e solo dalla ragione.
Cari Amici, le favole degli antichi ci trasmettono, dunque, la preziosità di un valore eterno e pertanto immutabile e non-negoziabile, e che ho cercato di tratteggiare nella mia lectio: l’amore coniugale tra uomo e donna, il matrimonio, la nascita di una famiglia e il suo contributo al bene della società. Altri ci contestano queste convinzioni e operano, a volte con mezzi discutibili e più spesso con protervia e arroganza, per imporre le loro idee, con le conseguenze che abbiamo ricordato. Anche Caligola volle dichiarare senatore il suo cavallo, ma Incitatus, questo il nome dell’equino nobilitato, cavallo rimase.
Chiudo con un appello. La non-negoziabilità dei principi richiede una testimonianza coraggiosa e la disponibilità al martirio, certamente quello incruento, che potrà assumere la forma della marginalizzazione e persino dell’irrilevanza nel dibattito culturale e politico, fortemente condizionato dagli orientamenti dei media. È il tempo della lucidità del pensiero, è il tempo della fortezza spirituale. Mi piace pertanto chiedere la benedizione dei Santi del Cielo, dal momento che ho avuto il privilegio per alcuni anni di promuovere le cause di canonizzazione della Famiglia Salesiana e, mentre penso all’esempio straordinario di coniugi beati e santi, invoco l’intercessione di due martiri del Matrimonio, John Fisher e Thomas More che furono condannati a morte ingiustamente per aver difeso la validità del vincolo matrimoniale del Re Enrico VIII con Caterina d’Aragona e per aver dichiarato l’illiceità della sua unione con Anna Bolena.
Con loro, in quanto sostenitore della non-negoziabilità dei principi che sono “patrimonio dell’umanità”, diciamo a chi li viola e li irride: Non tibi licet.