Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente Lettura patristica per la I Domenica di Quaresima (Anno A).
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LETTURA PATRISTICA
San Bernardo di Chiaravalle
IV Sermone per la Quaresima
La preghiera e il digiuno
1. Poiché siamo arrivati al periodo del digiuno quaresimale, e perciò vi esorto a sostenere la carità con tutta la vostra devozione, mi sembra giusto esporre brevemente a quale scopo e in che modo è opportuno digiunare. In primo luogo, fratelli, astenendoci anche dalle cose permesse, ci vengono perdonate quelle illecite e già commesse. Dunque, otteniamo il perdono per il male, solo che, per un breve digiuno, siamo liberati da quello eterno? In realtà meritiamo l’inferno, dove non c’è mai cibo, né consolazione, né fine. Il ricco chiede una goccia d’acqua, e non può riceverla (Luca, XVI, 94). E’ buono e salutare il digiuno, con il quale siamo liberati dal digiuno e dai supplizi eterni, mentre otteniamo la redenzione dai peccati. Infatti non soltanto è una rapida abolizione dei peccati ma anche lo sradicamento dei vizi; non solo ci ottiene il perdono ma ci fa anche meritare la grazia; non solo cancella i peccati commessi nel passato ma allontana anche i peccati potremmo commettere in futuro.
2. Vi dirò inoltre, perché possiate capire più facilmente, una cosa che, se non sbaglio, vi capita spesso: il digiuno dona devozione e fiducia . Inoltre notate come il digiuno e la preghiera vanno insieme, come dice la Scrittura, “I fratelli che si aiutano, si consolano entrambi” (Prov. XVIII 19)1. “La preghiera ci ottiene la forza di digiunare, e il digiuno ci fa meritare la grazia della preghiera. Il digiuno rafforza la preghiera, la preghiera santifica il digiuno e lo offre a Dio. Come potrebbe giovarci, infatti, il digiuno, se rimanesse sulla terra? Dio non voglia! Si sollevi quindi il digiuno dalla terra sulle ali della preghiera. Ma un’ala non è sufficiente, ne occorre una seconda. La Scrittura dice: “La preghiera del giusto entra in cielo” (Eccl. XXXV, 20)2. Servono dunque due ali, la preghiera e la giustizia, perché il nostro digiuno salga facilmente al cielo. Ma che cos’ è la giustizia, se non dare a ciascuno il suo? Quindi smettete, per così dire, di prestare attenzione solo a Dio. Avete doveri da compiere verso i superiori ei fratelli, e Dio non vuole che badiate poco ai quelli che Egli considera molto. Non è senza ragione che l’Apostolo dice: “Stai attento a fare bene, non solo davanti a Dio, ma davanti agli uomini “(Romani XII, I, 7)3. Ma potreste dirmi: “Per me è sufficiente che sia soltanto Dio ad approvare quello che faccio; che cosa mi importa del giudizio umano? Ebbene, state certi che non gli piacerà nessuna cosa fatta con scandalo dei suoi figli e contro la volontà di colui al quale tuttavia, essere certi che non ha nulla piacevole voi sarà lo scandalo dei suoi figli e contro la volontà del suo vicario, cui è necessario obbedire. Il Profeta disse: “Santificate il digiuno, convocate l’assemblea” (Gioele, II, 15)4. Che cosa significa convocare l’assemblea? Mantenere l’unità, apprezzare, amare i fratelli. L’orgoglioso fariseo digiunava, santificava il digiuno, sicuramente digiunava due volte la settimana e rendeva grazie a Dio; ma dicendo “Non sono come gli altri uomini” (Lc XVIII, 11) non ha chiamato nessuno; per questo, orgoglioso dell’unica ala, il suo digiuno non poté arrivare al cielo. Quindi, carissimi, lavatevi le mani nel sangue del peccatore e fate assolutamente in modo che il vostro digiuno abbia due ali: voglio dire la purezza e la pace, senza le quali nessuno può vedere Dio. “Santificate il digiuno” affinché sia offerto alla divina maestà con intenzione pura e preghiera devota: “Convocare l’assemblea” perché concordi nell’unità: ”Lodate il Signore col tamburo e danze “(Psal. CL, 4)5, affinché ci sia armonia nella mortificazione della carne.
3. Visto che abbiamo detto qualcosa sul digiuno e sulla giustizia, è giusto parlare un po’ anche della preghiera. Infatti quanto più essa efficace se fatta bene, tanto più astutamente il nemico è solito ostacolarla. A volte, infatti, l’efficacia della preghiera è gravemente ostacolata dalla pusillanimità di spirito, e dall’eccessiva preoccupazione. Ciò si verifica di solito quando uno è così preoccupato per la propria indegnità da non osare di volgere lo sguardo alla bontà di Dio. “Infatti, l’abisso chiama l’abisso” (Sal. XLI, 8)6. L’ abisso luminoso chiama l’abisso di tenebre, l’abisso di misericordia chiama l’abisso di miseria. Il cuore dell’uomo è di per sé un abisso, e un abisso senza fondo. Ma se la mia iniquità è così grande, la tua benevolenza, Signore, è molto più grande. Per questa ragione, quando la mia anima è turbata da me stesso, mi ricordo la grandezza della tua misericordia e in quella trovo sollievo, e quando arrivo al fondo della mia debolezza non voglio ricordate niente se non la tua giustizia.
4. Nondimeno è un pericolo per la preghiera anche essere troppo timidi, e non è un pericolo da meno, se non addirittura maggiore, essere troppo fiduciosi. Ascoltate ciò che il Signore ha detto al Suo Profeta a proposito di coloro che pregano con questa eccessiva sicurezza: “Grida senza fermarti , esalta la tua voce come una tromba” (Isaia LVIII, 1)7, ecc.” Come una tromba “, ha detto, perché chi prega con un eccesso di fiducia deve essere ripreso con grande veemenza. Infatti, ci sono quelli che non hanno ancora trovato se stessi, che cercano me. Non dico questo per privare i peccatori della fiducia nella preghiera, ma voglio che preghino come persone che hanno operato peccati, non giustizia; che preghino per il perdono dei loro peccati con un cuore contrito e umile come il pubblicano, che gridò: “Signore abbi pietà di me peccatore” (Lc XVIII, 13). L’avventatezza, infatti, quando colui nella cui coscienza regna ancora il peccato o qualche vizio cammina nella grandezza e nell’ammirazione di se’, è meno sollecito a proposito del pericolo per la sua anima. Il terzo pericolo si verifica con la preghiera tiepida, quella che non nasce da un affetto forte. Senza dubbio la preghiera timida non arriva al cielo, perché una eccessiva paura paralizza l’anima, tanto che non dico solo che la preghiera non può salire al cielo, ma non può nemmeno lasciare le labbra. La preghiera tiepida, in verità, si infiacchisce nella salita e viene meno, perché non ha vigore. Quanto alla preghiera troppo fiduciosa, sale ricade; in cielo trova resistenza, non soltanto non ottiene grazia, ma offende anche Dio. Invece quella preghiera che sarà stata piena fedele, umile e fervente, entrerà senza dubbio in cielo: da dove certamente non potrà tornare a mani vuote.
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NOTE
1 Così il testo originale: “Frater adjuvans fratrem, ambo consolabuntur”; ma nella Volgata, in Prov. XVIII, 19 troviamo “Frater, qui adiuvatur a fratre, quasi civica ferma” e nella c. d. Neo Volgata “Frater, qui offenditur, durior est civitate firma”. La traduzione CEI 2008 rende il periodo con “ Un fratello offeso è più inespugnabile di una roccaforte”
2 Così il testo originale: “Oratio justi penetrat coelo”; nella Volgata: “…deprecatio illius [Qui adorat Deum…]usque ad nubes propinquabit”; simile nella Neo Volgata; nella traduzione CEI 2008: “La sua preghiera [di chi soccorre la vedova] arriva fino alle nubi”
3 Nella versione CEI 2008: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini”
4 Qui il testo originale corrisponde alla Volgata: “Sanctificate jejunium, vocate coetum”; nella Neo Volgata troviamo “ululate in monte sancto meo; conturbentur omnes habitatores terrae” e nella traduzione CEI 2008 “proclamate un solenne
digiuno, convocate una riunione sacra”
5 Il testo originale, “Laudate Dominum in tympano et choro” corrisponde sostanzialmente alla Volgata ed è stato tradotto letteralmente e anche nella versione CEI 2008 troviamo “Lodatelo con tamburelli e danze”
6 Nella Volgata “Abyssus abyssum invocat”; così anche nella versione CEI 2008: “un abisso chiama l’abisso”
7 Nell’originale abbiamo “Clama ne cesses: quasi tuba exalta vocem tuam”, del tutto corrispondente alla Volgata. La versione CEI 2008 riporta: “Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno”.