Uscirà sabato 15 marzo uno speciale numero de “La Civiltà Cattolica”, particolarmente dedicato al primo anno di pontificato di Papa Francesco. Nell’editoriale sono offerte sette chiavi di lettura che tentano di delineare l’essenza del pontificato del Papa venuto dalla fine del mondo.
Quello di Papa Francesco è definito innanzitutto un “pontificato profetico” poiché Francesco è un Papa del Concilio Vaticano II, non nel senso che lo ripete e lo difende, ma nel senso che ne coglie il valo- re intimo di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi, di rilettura del Vangelo alla luce dell’esperienza contemporanea”.
Il pontificato di Papa Francesco viene poi definito “dell’incontro”. Abbiamo visto in tutti questi mesi come il Papa abbia promosso una “cultura dell’incontro” attraverso la valorizzazione dell’altro. Ne sono esempi le sue frequenti telefonate a persone semplici, lo scatto di alcuni selfie, l’abbraccio con le persone più sofferenti.
Il pontefice intende l’esercizio del ministero petrino come una battaglia contro il demonio e contro la mondanità spirituale. Ciò viene definito da “La Civiltà Cattolica” come “pontificato drammatico”.
La rivista dei Gesuiti parla poi di “pontificato di discernimento”. Il tema del discernimento, molto caro alla spiritualità gesuita, accompagna ogni giorno il Papa e gli permette di scorgere fra le attività ordinarie del mondo ciò che Dio vuole.
Questo modo di guardare la realtà porta il Papa a non avere una visione prestabilita da imporre al mondo. Egli valuta le situazioni, apre discorsi, senza poi chiudere le questioni: “non si impone sulla storia cercando di organizzarla secondo le proprie coordinate, ma dialoga con la realtà, si inserisce nella storia degli uomini, si svolge nel tempo”. Pertanto il pontificato di Francesco può essere definito “dal pensiero incompleto”.
“La Civiltà Cattolica” parla poi di un “pontificato di tensione tra spirito e istituzione” dove fra queste due realtà non vi è opposizione dialettica ma proficuo dialogo.
Un “pontificato di frontiera e di sfide” infine è l’ultima definizione che l’editoriale ci offre per comprendere il pontificato di Papa Francesco. La formazione spirituale ignaziana lo porta naturalmente ad avere un’indole missionaria che lo indirizza verso le perieferie geografiche ed esistenziali di oggi.
Un secondo articolo di Ignacio Pérez del Viso riflette su la leadership morale di Papa Francesco. L’analisi parte dalla costatazione che fra Chiesa e “mondo” c’è una sorta di fruttuoso dialogo: non solo la Chiesa illumina il mondo col suo messaggio di salvezza, ma anche essa è stimolata e sollecitata dal mondo nella sua riflessione.
In questo dialogo si inseriscono anche i membri delle altre religioni e i non credenti con i quali l’allora cardinal Bergoglio a Buonos Aires stabilì una cordiale amicizia che, lungi dall’essere una forma di relativismo, è necessaria per perseguire il bene comune. Con loro non si tratta solo di dialogare, ma di camminare insieme poiché tutti condividono il destino dell’unica umanità.
Padre Pérez del Viso riflette su un particolare momento della storia Argentina, quando nel 1978 il paese di origine del Papa entrò in conflitto col Cile per il possesso del Canale di Beagle. Al fine di dirimere la questione Giovanni Paolo II incaricò il cardinale Samorè di agire come mediatore. La situazione era intricata e l’incaricato del Papa più che una soluzione vide ” una piccola luce alla fine del tunnel.
Scrive l’autore dell’articolo: in quella circostanza, padre Bergoglio apprese che cosa è la leadership morale assunta da Giovanni Paolo II, che ha il suo fondamento nella fede in Dio, che è Padre e Madre della famiglia umana”. E prosegue: “il politico deve fondarsi su calcoli sicuri per agire senza esporsi al fallimento, mentre il leader morale percepisce, in senso profetico, una «piccola luce» in crescita”.
Quando Papa Francesco si affacciò dalla loggia di San Pietro, ricordiamo che egli parlò di un nuovo cammino che lui, nuovo Vescovo di Roma, voleva intraprendere col suo popolo. Questa parola molto probabilmente non è stata citata a caso, ma è mutuata dalla “teologia del popolo”, una sorta di variante argentina della “teologia della liberazione”. Per conoscere la teologia del popolo può essere utile leggere il terzo articolo scritto da Juan Carlos Scannone che ripercorre la storia di come essa nacque.
Scrive padre Scannone: “dopo il suo ritorno dal Concilio Vaticano II, l’episcopato argentino creò, nel 1966, la Coepal (Commissione episcopale di pastorale)”. Di essa facevano parte i sacerdoti diocesani Gera e Tello che sono consiederati i padri della teologia del popolo. “Essi prendendo le distanze sia dal liberalismo che dal marxismo, trovarono la propria concettualizzazione nella storia latinoamericana e argentina con categorie come «popolo» e «antipopolo», «popoli» contrapposti a «imperi», «cultura popolare», «religiosità popolare» e così via”.
“Nel caso di Gera e della Coepal, si trattò principalmente del «popolo di Dio» — categoria biblica privilegiata dal Concilio per designare la Chiesa — e delle sue interazioni con i popoli, specialmente con quello argentino”.