Si è svolto questa mattina l’incontro di Papa Francesco con i vescovi della Conferenza Episcopale di Timor Est in visita “ad Limina Apostolorum”. Nel breve discorso loro rivolto il Pontefice ha sintetizzato in tre punti l’impegno pastorale che spetta ai presuli: essere “coscienza critica” della Nazione; annunciare “il Vangelo della misericordia” e diffondere “la Buona Novella di salvezza” anche nelle lingue locali.
Bergoglio ha constatato con piacere che l’isola asiatica conta oggi il 97% di popolazione battezzata, “frutti”, questi, – ha detto – dell’evangelizzazione avviata oltre 500 anni fa. Tuttavia, la piccola isola non è stata esente, negli ultimi anni, da alcune “dolorose sorprese”, come ad esempio il sanguinoso conflitto alla fine degli anni ’90. Proprio quest’ultimo ha avviato il processo per la costruzione di una nazione “libera, solidale e giusta per tutti”, il quale ha più volte indotto la Chiesa locale “a ricordare le basi necessarie di una società che intende essere degna dell’uomo e del suo destino trascendente”.
Ed è questa la strada verso la quale deve proseguire il lavoro dei vescovi: “Sono certo – ha affermato il Santo Padre – che voi, con i sacerdoti, continuerete a svolgere la funzione di coscienza critica della nazione, mantenendo a tal fine la dovuta indipendenza dal potere politico in una collaborazione equidistante che lasci ad esso la responsabilità di occuparsi del bene comune della società e di promuoverlo”.
Riguardo al secondo punto, Papa Francesco ha esortato i presuli a un “raddoppiato sforzo di evangelizzazione”. Innanzitutto, ha detto, “la Chiesa chiede alla società la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando va controcorrente difendendo i valori che ha ricevuto e ai quali deve rimanere fedele”. Ha quindi incoraggiato i “cari fratelli” timorensi a non aver paura “di offrire questo contributo alla Chiesa per il bene di tutta la società”.
Il Vangelo, però, – ha rimarcato il Santo Padre – va annunciato con la lingua della “misericordia”, senza la quale “noi oggi abbiamo poche possibilità d’inserirci in un mondo di ‘feriti’, che ha bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. Bisogna pertanto attuare quella “Rivoluzione della tenerezza” già prefigurata nelle pagine della Evangelii Gaudium.
In tal direzione – ha spiegato Bergoglio – è necessaria anche una “solida formazione” per sacerdoti, religiosi e laici. Ciò non significa che “si pretende un’evangelizzazione realizzata solo da agenti qualificati”, ha chiarito, perché “se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni”. Ogni cristiano è infatti “missionario” nella misura in cui “si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”, e “in tutti i battezzati – dal primo all’ultimo – agisce lo Spirito che porta a evangelizzare”.
Un’altra necessità è poi quella “di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo”, ha sottolineato il Santo Padre. “Se, nei vari contesti culturali di Timor Est, la fede e l’evangelizzazione non sono capaci di dire Dio, di annunciare la vittoria di Cristo sul dramma della condizione umana, di aprire spazi per lo Spirito rinnovatore, è perché non sono sufficientemente vive nei fedeli cristiani, che hanno bisogno di un cammino di formazione e di maturazione”, ha spiegato.
Tutto ciò comporta “una serie di sfide per permettere una più facile comprensione della Parola di Dio e una migliore ricezione dei Sacramenti”. Sfide – ha precisato il Papa – non minacce, nel senso che “la coscienza missionaria oggi presuppone che si possiedano il valore umile del dialogo e la convinzione ferma di presentare una proposta di pienezza umana nel nostro contesto culturale”.
“Un triplice fronte” attende quindi il vescovo di Timor Est, che “deve indicare la via al suo popolo, deve mantenerlo unito e neutralizzare le fughe disordinate e fare in modo che nessuno arrivi tardi o si smarrisca…”. L’auspicio finale del Vescovo di Roma è dunque che i presuli possano essere “uomini capaci di sostenere, con amore e pazienza, i passi di Dio nel suo popolo”, valorizzando “tutto ciò che lo mantiene unito”, “mettendo in guardia contro eventuali pericoli”, ma soprattutto “facendo crescere la speranza: che ci siano sole e luce nei cuori!”.
(A cura di Salvatore Cernuzio)