La Via Crucis della famiglia: al Getsemani per rimanere uniti

Una famiglia che prega diventa Chiesa domestica che vive le difficoltà rinsaldandosi in Cristo, per sperimentare un amore più forte della comodità, dell’indifferenza e della paura di soffrire

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Durante il tempo quaresimale tutte le parrocchie mantengono viva la tradizione della Via Crucis, nella quale si commemora e si rivive la passione di Gesù. La via crucis rischia di essere vissuta solo esteriormente, ossia come un qualcosa che ha vissuto Gesù. Se non ci domandiamo quale relazione hanno quegli avvenimenti con la nostra vita di tutti i giorni, è facile cadere nella tentazione di sentirci dei semplici spettatori di questo evento di salvezza operata da Cristo duemila anni fa. In realtà la partecipazione di ogni uomo e donna ai misteri della passione consiste nel meditare e nel contemplare questi avvenimenti per riportarli nelle situazioni della vita personale.

In particolare, visto il prossimo Sinodo sulla famiglia, è fruttuoso proiettare dentro le vicende della famiglia il cammino della passione del nostro Signore Gesù Cristo, meditando le ore passate da Gesù sul monte degli Ulivi, alla vigilia della sua crocifissione. Gesù sale sul monte degli Ulivi, giunge al podere dei Getsèmani, ed invita i suoi discepoli a sedersi, mentre Egli sarebbe andato a pregare. Ma ad alcuni dei suoi apostoli (Pietro, Giovanni e Giacomo) li chiama con se, ed in quel momento comincia a provare tristezza ed angoscia (Mt 26,36-37). (E Gesù) Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». (Mt 26,38).

Gesù si allonta a poca distanza da loro ed inizia a pregare per tre volte dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». (Mt 26,39). Ma per tre volte Gesù trova i tre apostoli che dormono, malgrado l’invito di Gesù a rimanere svegli per vegliare con Lui in quelle sue ultime ore della vita terrena. E spiega anche la ragione per cui rimanere svegli: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26,41).

Non è forse questa la situazione che accade in tantissime famiglie del mondo? Davanti ad una situazione di angoscia e di dolore chiediamo la vicinanza di alcune persone della famiglia, perchè abbiamo bisogno di condividere le nostre tristezze, le nostre ansie, le nostre preoccupazioni. Vorremmo appartarci con loro per alleggerire il nostro peso e cercare un sollievo, ma invece sperimentiamo distrazione ed indifferenza. Coloro che abbiamo chiamato vicino a noi rimangono tiepidi e silenziosi. Proprio quando proviamo una tristezza personale sperimentiamo le più forti delusioni dalla persone vicine, ma nello stesso tempo percepiamo una profonda comunione con Gesù Cristo che manda i suoi angeli a consolarci.

Davanti alla malattia di un figlio, alla perdita del lavoro, ad un lutto in famiglia, ad una crisi esistenziale, sperimentiamo alcune volte un distacco profondo da coloro che ci dovrebbero rimanere vicini. E se questa è una situazione che subiamo, è anche una atteggiamento con il quale ci comportiamo nei confronti del prossimo. Non siamo in grado di vegliare nemmeno un ora, la nostra poca fede ci porta ad addormentarci, perchè non abbiamo la speranza del futuro, non abbiamo fiducia nella infinita misericordia di Dio. Pensiamo molto superbamente che laddove io non posso fare nulla, nemmeno Dio può fare qualcosa. Nello stesso tempo sperimentiamo la verità delle parole di Gesù: quando non si prega nelle difficoltà si cade facilmente in tentazione.

Quanto è prezioso e salutare contemplare questa situazione della vita di Gesù, nella quale ha chiesto una vicinanza ai suoi amici, ma vede rifiutarsi questo suo invito a causa della loro stanchezza spirituale. Questo ci dovrebbe far pensare: mai più solitudine per una persona afflitta, mai più abbandono per un moribondo, mai più tiepidezza davanti ad un qualunque dramma familiare. Quanto bisogno c’e’ nei nostri tempi di piangere per tutto il male che circonda la vita di tantissime famiglie. Invece l’atteggiamento di molti è quello di rimanere totalmente indifferenti, considerando l’altro come estraneo alla nostra vita.

Quando uno dei coniugi perde la speranza, non lasciamoci trascinare dal pessimismo, ma rinforziamo la nostra preghiera per lui o per lei. Davanti alla crisi adolescenziale di un figlio, non addormentiamoci nella nostra incredulità, pensando che non si possa fare nulla; uniamoci in preghiera con Gesù per condividere con Lui le nostre angoscie e le nostre preoccupazioni. La vita della famiglia ha quel dinamismo caratterizzato dalla crescita dei figli e  dall’invecchiamento dei genitori. Queste due situazioni non sono antitetiche, ma ognuna sostiene l’altra, perchè al vigore dei figli è indispensabile la saggezza dei genitori.

Evitiamo che il Signore dica anche a noi: “Dormite ormai e riposate” (Gv 26,45). Anche se noi dormiamo il Signore non dorme, Egli intercede per sempre a nostro vantaggio mostrando al Padre le piaghe della Sua passione. Ma in questo tempo di quaresima siamo chiamati a riconoscere che ci siamo assopiti per la nostra incredulità e siamo invitati a rimanere svegli per affidarci totalmente a Dio. E’ proprio nella preghiera che il Signore ci svela la sua volontà e ci dona la forza di compierla.

L’invito è quello di intensificare la preghiera in questo tempo per vedere tutte le mancanze dentro la famiglia ed affidarle al Signore, perchè sia Lui a donarci la luce per illuminarle e per darci una via d’uscita per superarle. Quanti conflitti tra genitori e figli per futili ragioni; da un lato la disobbedienza dei figli, dall’altro l’eccessivo rigore o il troppo lassismo dei genitori. Queste situazioni rischiano di trascinarsi per anni, con conseguenze devastanti per la vita della famiglia. E queste incomprensioni vissute dai figli inevitabilmente si riverseranno nelle famiglie che loro andranno a formare, perchè i vizi della famiglia d’origine fanno parte del corredo che ci si portano dentro la nuove famiglie formate dai figli.

Solo l’amore di Dio e il perdono può spezzare questa catena di male e restituire vitalità e gioia alla famiglia. Chiedere perdono invece di puntare il dito sull’altro, ascoltare invece di stare sempre a spiegare le proprie ragioni, lasciare spazio all’altro invece di cadere nella trappola della gelosia, sono atti di conversione familiari che sono frutto di un tempo di preghiera. Una famiglia che prega, diventa quella Chiesa domestica che si rinsalda e vive le difficoltà rimanendo unita a Gesù Cristo, per sperimentare un amore più forte della comodità, dell’indifferenza e della paura di soffrire.

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Osvaldo Rinaldi

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