“Servo di Dio, parroco per scelta e vescovo di Torino per obbedienza, Giovanni Battista Pinardi (1880-1962), era figlio di contadini di un piccolo paese della campagna torinese, Castagnole Piemonte, ma aveva un animo nobilissimo ed era molto generoso”.
Con queste parole lo storico Gervasio Cambiano vuole ricordare il presule piemontese a 52 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 2 agosto 1962. Modello di parroco e di vescovo incredibilmente attuale, composto e sereno, risulta per il suo tempo una figura scomoda, ma che può stimolare e incoraggiare ancora i sacerdoti e i vescovi di oggi.
“Battistino, come lo chiamavano i famigliari, nacque a Castagnole Piemonte il 15 agosto 1880, festa dell’assunzione di Maria, da Sebastiano e Margherita, che, fin dall’infanzia, hanno inculcato in lui i sentimenti della vita cristiana e un profondo senso del dovere”, sottolinea Cambiano, da anni impegnato in ricerche storiche nel torinese.
Al termine delle elementari, Pinardi decise, quasi naturalmente, di diventare prete. Frequentò allora il collegio salesiano di Borgo San Martino, ad Alessandria, quindi intraprese gli studi di filosofia e teologia a Chieri e a Torino. Durante questo periodo conobbe ed apprezzò come guida il Beato Giuseppe Allamano e il Servo di Dio don Luigi Boccardo, ma fu il cardinale Agostino Richelmy ad ordinarlo sacerdote il 28 giugno del 1903. Per sette anni fu parroco a Carignano, in quei tempi cittadina di riferimento per i tutti i paesini della zona, poi nel 1912 assunse l’incarico di parroco a San Secondo, a Torino.
“Ma la Prima Guerra Mondiale stava per scoppiare – prosegue lo storico – e Pinardi cercò in tutti i modi di venire in aiuto della popolazione, che lo apprezzava moltissimo. Ma il destino lo avrebbe portato ad altro: a soli 36 anni, il 5 marzo del 1916, venne consacrato Vescovo ausiliare del Cardinale.
Un vescovo, però, che non negava l’aiuto, anche pratico, alle parrocchie vicine ed era molto umile. Andava spesso a celebrare la messa a Piobesi, Virle, piccoli centri a pochi chilometri dal paese nativo. Ad agosto trascorreva qualche giorno in campagna in questi paesini, per distaccarsi dalla vita e dalla frenesia della città, e prendeva l’autobus! Camminava, magari con l’ombrello e la pioggia, tutta la gente naturalmente lo riconosceva e qualcuno gli dava anche un passaggio. Poi, se un prefetto o un’alta carica della Città iniziava ad elogiarlo, alzava la mano e diceva Lasci stare e parliamo invece di cose concrete!”.
Monsignor Pinardi diede anche un forte impulso alla stampa cattolica, ma con l’avvento del fascismo i tempi diventarono più duri. Perfino papa Pio XI, dalle fonti che si sono raccolte, ha spiegato al Cardinale Fossati: “A Torino avete un vescovo santo, ma occorre lasciarlo nell’ombra per non avere problemi con il regime”.
E anche quando il capoluogo piemontese fu bombardato, tra il ‘42 e il ‘43, Pinardi fu il primo a soccorrere chi soffriva, predicando contro l’odio e la guerra, e andando personalmente nelle soffitte di Torino per portare un suo generoso aiuto. “Per cercare chi soffre , bisogna conoscere i portieri delle grandi case. Così si scovano i poveri!”, ripeteva serio il presule.
“Spiritualità altissima, scrupoloso senso del dovere sino al sacrificio di se stesso e una carità eroica senza barriere e senza restrizioni: queste sono le qualità riconosciute al “Curato di San Secondo”. E queste doti ancora sopravvivono oggi nel cuore di tutti i torinesi che non lo dimenticano e nell’Opera della Misericordia Monsignor Pinardi, a lui dedicata”, conclude Cambiano.