Se l’Italia ha il 2 giugno (in ricordo del controverso voto del 1946 a favore della Repubblica contro la Monarchia), se la Francia ha il 14 luglio (a perpetua memoria della conquista del 1789 della fortezza-prigione della Bastiglia con i suoi sette prigionieri non politici), anche la Svizzera ha – dal 1891 – la sua Festa nazionale, quella del primo Agosto, rievocazione – fissata convenzionalmente nel 1291 – dell’insieme di leggende e fatti storici da cui sorse e si sviluppò nei secoli. Bandiere rossocrociate esposte ai balconi; raduni con discorsi ufficiali; lampioncini cartacei con candela interna per la gioia dei bambini; falò sulle alture a rievocare quelli originari trecenteschi, di festosa comunicazione della cacciata dei balivi (rappresentanti) asburgici dalle terre della Svizzera ‘primitiva’, dalle pendici nord del Gottardo al lago dei Quattro Cantoni; bengala e fontanelle, fuochi d’artificio nelle località turistiche… ma quest’anno c’è dell’altro: un messaggio dei vescovi svizzeri particolarmente denso di contenuti. Significativa la firma, rappresentativa dell’intera conferenza episcopale: quella di un vescovo per sua natura assai dinamico, mons. Pier Giacomo Grampa, nato nel 1936 a Busto Arsizio, rettore non anonimo per lunghi anni del Collegio Papio di Ascona e vescovo sanguigno di Lugano dal dicembre 2003 (ingresso nel gennaio 2004) al novembre 2013. Ricordiamo ad esempio la sua opposizione pubblica, grintosa all’iniziativa contro l’edificazione di nuovi minareti, approvata dagli elettori svizzeri con una maggioranza chiara e ancor più nettamente da quelli del Canton Ticino (vedi in questo sito le interviste dell’ottobre 2009 a tale proposito sia a mons. Grampa che a Giorgio Salvadè, deputato cattolico e leghista prematuramente scomparso). Un suo cruccio allora era suscitato dalla constatazione che non pochi cattolici avevano dato il loro appoggio all’iniziativa. Il cruccio persiste, come scopriamo addentrandoci nella lettura del messaggio per questo Primo Agosto. Bisogna fare in modo che si attenui fino a scomparire, si augura mons. Grampa. Ma l’obiettivo non è facile da raggiungere.
Caratteristiche dell’identità elvetica
Dapprima il settantottenne presule richiama con chiarezza i valori condivisi più importanti su cui si regge la Svizzera, piccola Europa in atto, non come quella cui ci dobbiamo confrontare oggi sotto forma di Unione europea. Scrive bene Grampa che “la Svizzera nasce da un’esigenza di autonomia e di autodeterminazione” e da ciò “nasce la convinzione che sia una ‘nazione per volontà’ (Willensnation). Si può aggiungere che la Svizzera esiste in tale forma anche grazie alla sua posizione geografica e alla volontà di altri – spinti da motivi non sempre nobili – di preservarne l’indipendenza.
Mons. Grampa individua poi nella “diversità” un altro valore fondante dell’identità elvetica, citando ad esempio la persistenza ( dalla fine degli Anni Cinquanta) della ‘formula magica’ di governo, che unisce nel Consiglio federale i quattro partiti maggiori della Confederazione (pur se da qualche tempo viene ingiustamente penalizzato nella rappresentanza quello che è nettamente il primo partito, l’Unione democratica di centro). Un esempio di “diversità” è naturalmente il plurilinguismo, espressione dell’appartenenza culturale alle etnie tedesca, francese, italiana con in più i cinquantamila retoromanci, del resto imparentati anche loro con i ladini delle Dolomiti e i friulani.
Tra gli altri valori condivisi il pragmatismo (si preferisce in genere in campo sociale la mediazione allo scontro ideologico), il “riferimento ultimo al popolo” (come noto in Svizzera si vota su questioni molto delicate, anche quelle identitarie… e non pochi negli altri Stati europei vorrebbero poterlo fare, ma la paura dei governi è tale da bloccare ogni possibilità di voto popolare), l’ “aiuto reciproco”, caratteristica questa che si ritrova già alle origini (i patti tra i primi Cantoni), “ma che si allarga alla grande tradizione umanitaria di accoglienza, solidarietà e soccorso”.
Cristiani convinti di difendere il cristianesimo… ma…
I valori “biblici e cristiani” sono – scrive mons. Grampa – “profondamente radicati nel popolo svizzero”. A dire la verità può darsi che oggi lo siano assai meno, data ad esempio la forte avanzata percentuale degli autodichiaratisi “senza religione” (soprattutto in città come Basilea, Zurigo, Neuchatel, Losanna e Ginevra). Comunque sia, rileva Grampa che la comunità cristiana non deve solo “richiamare e ribadire” tali valori, ma “interpretarli, spiegarli nel loro significato, soprattutto nella loro applicazione pratica”. Ed ecco qui il ‘cruccio’ del vescovo emerito di Lugano: “Oggi questi valori sono troppo spesso sbandierati e proclamati da chi strumentalmente vuole brandirli contro un nemico (l’altro, lo straniero, il musulmano)”. E se le Chiese non riescono a interpretare nell’oggi tali valori, “si rischia di creare un effetto identificativo tra il credente e coloro che usano questi valori per difendere le nostre tradizioni cristiane, senza comprenderle e soprattutto senza viverle”. Noteremo qui che nel Canton Ticino il partito di maggioranza relativa è la Lega dei ticinesi (circa il 30%, oltre il 35% a Lugano), che comprende anche non pochi cattolici. Non solo: il Canton Ticino si pone ormai stabilmente tra i cantoni più ‘identitari’ nei voti che riguardano i rapporti con ‘l’altro’. Ai cattolici leghisti e a quelli (numerosi) di altri partiti, ma sensibili al tema dell’identità si rivolge così mons. Grampa, un po’ sconsolato, un po’ preoccupato: “Avremo alla fine un sacco di buoni cristiani convinti che per difendere il cristianesimo bisogna limitare l’accesso agli stranieri, impedire loro alcuni diritti, costruire muri e barriere”.
Qui l’ex-rettore del Collegio Papio richiama alcuni passi biblici riguardanti l’accoglienza verso lo straniero. Nel Vecchio Testamento ecco brani dal Deuteronomio (24, 17-22) e dal Levitico (19, 33-34); per il Nuovo i versetti di Matteo 25, 34-40 sono assai conosciuti (“Ero straniero e mi avete accolto”).
In Svizzera tanti stranieri ma minore conflittualità che in altri Paesi a presenza molto minore
Interessanti anche le riflessioni di mons. Grampa sull’ “Identità dell’altro”. Dopo il Lussemburgo, rileva il presule, la Svizzera è il Paese europeo con la percentuale più alta di stranieri, oggi circa il 25% della popolazione. Non una novità clamorosa, dato che da decenni il tasso si aggira attorno al 20% e lo supera. Eppure “la conflittualità legata alla presenza straniera in Paesi europei a noi vicini è di gran lunga superiore a quella riscontrata nel nostro Paese, anche se quei Paesi annoverano meno stranieri”. Qui di esempi concreti della veridicità dell’affermazione se ne potrebbero portare facilmente a centinaia. E’ evidente, osserva mons. Grampa, che “il popolo svizzero (con una propria identità) si trova confrontato con una molteplicità di altre identità che rendono difficile l’approccio”. Ad esempio, per quanto concerne l’identità religiosa, se è vero che gran parte degli immigrati (vedi italiani, spagnoli, portoghesi, croati, cittadini dell’Est europeo) continua ad appartenere al cristianesimo, “è pur vero che si aggiungono sempre di più persone con un’altra religione, soprattutto musulmani”. Per questi ultimi è importante adoperarsi perché “comprendano il nostro cammino di secolarizzazione e imparino a distinguere tra religione, fede e società”. Quel “comprendano” – si può osservare – speriamo però non porti a “giustificare” tutto quanto (nefandezze comprese) si fa oggi in nome della secolarizzazione.
Se quasi un quarto degli abitanti della Svizzera oggi è straniero, ciò significa anche “che il tradizionale spirito di ospitalità non è venut
o meno nei secoli”. Del resto – esempio solo apparentemente banale – da qualche tempo la nazionale svizzera di calcio è composta in maggioranza da calciatori di origine ben diversa da quella delle etnie tradizionali. In tale nazionale i pochi ‘Lichtsteiner’ (noto difensore ex-laziale e ora juventino) sembrano convivere felicemente con altri nuovi svizzeri di origine balcanica e nordafricana. La cosa, si sa, non entusiasma tutti gli svizzeri delle etnie tradizionali, ma oggi la realtà è questa.
Certo, puntualizza poi mons. Grampa, “ci sono dei fenomeni negativi che vanno denunciati e combattuti”. Il primo: le donne, in particolare dell’Est europeo, “adescate con promesse di lavoro e spinte nel vortice della prostituzione”. Il secondo: “Il salario ridotto pagato al lavoratore straniero”, un fenomeno che riguarda specialmente il Canton Ticino, in cui “si è giunti al punto di privare del lavoro nostri operai, per sostituirli con mano d’opera estera retribuita con salari risibili”. E’ proprio questa “una vergogna che va combattuta ed eliminata, imponendo per i diversi settori un salario minimo”. E’ evidente, postilla qui mons. Grampa, che “l’operaio svizzero posto in disoccupazione si sentirà umiliato e ferito da una situazione ingiusta che si è creata sul mercato del lavoro, si pensi al Ticino” (pratica corrente anche nel settore giornalistico). Perciò in questi casi “non si parlerà di xenofobia, ma di flagrante ingiustizia nei confronti del mondo del lavoro”.
Guardare negli occhi anche lo straniero. Ma ci sono pure stranieri invisibili… quelli sì molto pericolosi: società finanziarie e clan malavitosi
Avviandosi verso la conclusione, mons. Grampa annota che “tra svizzeri e stranieri ci sono valori diversi e in competizione”: è vero che “istintivamente vince la paura, un sentimento legittimo e naturale” da superare.
Per farlo, non basta proclamare che “non occorre aver paura degli stranieri”, risposta “insoddisfacente” a tali paure. Bisogna invece guardare negli occhi lo straniero: “Il frontaliero, l’artigiano (…) ma anche il richiedente l’asilo sono persone con le quali si può parlare, ci si può confrontare, che si possono conoscere”.
Invece c’è un’altra faccia, preoccupante, della medaglia. E’ quella degli “stranieri invisibili, impossibili da incontrare, ma che condizionano la nostra vita e sono reali minacce alla nostra convivenza”. Vanno identificati con “le società finanziarie internazionali che fanno crollare interi sistemi economici solo spostando ricchezza, senza crearla” e “con i clan malavitosi che comprano a man bassa locali e negozi, riciclando denaro attraverso società di riferimento internazionale o gestiscono centri di massaggio dietro i quali si pratica la prostituzione”. Stranieri pericolosi questi, “senza volto, senza cuore, senza anima, col solo scopo di far denaro non importa come”, ladri di “coscienza e cultura”.
Il voto del 9 febbraio 2014 contro “l’immigrazione di massa”: condanne affrettate
Come già era capitato per il voto del 29 novembre 2009 contro l’edificazione di nuovi minareti, anche l’accettazione popolare, il 9 febbraio scorso, dell’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” ha suscitato una caterva di reazioni indignate a livello internazionale. Eppure, rileva mons. Grampa, quel voto “va interpretato correttamente, prima di essere liquidato come un voto contro lo straniero”. Soprattutto “va contestualizzato all’interno di una dimensione europea dove l’eliminazione delle frontiere e la libera circolazione delle persone hanno provocato una irrazionale e indistinta reazione in molti popoli del continente”. Perciò, a ben vedere, “la Svizzera ha solo palesato e anticipato un sentimento che è diffuso tra le popolazioni europee”.
Conclude il Messaggio mons. Grampa, sempre in nome dei vescovi svizzeri: “Il male che ci uccide è il nostro egoismo. Più apriamo mente e cuore alla fraternità, più noi poniamo le basi per la nascita di un mondo migliore. Se il nostro Paese si impegna a prendere sul serio il suo motto Uno per tutti, tutti per uno, estenderà al mondo intero la sua esperienza di fraternità.
Fonte: Rossoporpora