“La globalizzazione dell’indifferenza deve essere vinta davanti a questa tragedia europea” che è l’immigrazione. Così mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, accende nuovamente i riflettori sulla questione dei flussi migratori. Questione ancora al centro del confronto tra Unione Europea e Italia, che, in mezzo alle diverse problematiche attuali, rischia di finire nel dimenticatoio.
La Commissione Europea, rispondendo al ministro dell’Interno Alfano, ha sottolineato infatti che non sono possibili nuovi aiuti al governo italiano per affrontare gli sbarchi. Intanto, il Mediterraneo continua ad essere un “cimitero silenzioso” in cui giorno dopo giorno vengono seppellite vite umane.
Il numero delle vittime evidenzia “la luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi”, afferma Tomasi in un’intervista alla Radio Vaticana. E ricorda quindi le stime dei morti: 23.000 gli immigrati che, dal 2000 al 2013, hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna. Senza dimenticare che non si conoscono le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle fronti.
Questi numeri “non possono lasciarci insensibili”, dice il presule, “c’è il rischio di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente. Mi pare anzitutto – prosegue – che si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo. Gran parte di loro sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Unione Europea”.
Quindi, rimarca il delegato vaticano, “la solidarietà non può essere solo una teoria”. Inoltre, “davanti all’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica”, fare degli emigrati “il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali” diventa, secondo il vescovo, “una strategia”, “un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio”.
Il risultato è la riduzione dell’immigrato a “persona di seconda classe”: “Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immmigrato senza dare priorità al fatto che egli è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano”, spiega mons. Tomasi. “La lettura sbagliata del fenomeno migrazioni – insiste – porta a delle politiche amministrative che forzano le persone in cerca di rifugio a percorrere strade pericolose per raggiungere sopravvivenza e un minimo di benessere”.
Secondo l’arcivescovo, tra le risposte che la comunità internazionale dovrebbe mettere in atto al più presto, il primo passo è “l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi”.
“Provvedere canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni”, aggiunge. E plaude alla decisione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati di affrontare il prossimo dicembre nel suo “Dialogo internazionale” la questione della protezione in mare.
Il Mediterraneo – precisa infatti l’osservatore della Santa Sede – “non è il solo luogo di tragedie di immigrazione. Il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida”.
Pertanto, la risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è “un’ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana”. Ciò che occorre è “attuare il Common European Asylum System, sostenere i Paesi sotto pressione per nuovi arrivi, formare funzionari sensibili alle motivazioni dei richiedenti asilo, punire seriamente i trafficanti di persone e simili misure”.
Mons. Tomasi ricorda quindi le parole di Leone XII nella sua Enciclica “Rerum Novarum”, in cui il Pontefice affermava che “nessuno lascerebbe la propria patria se potesse vivere lì dignitosamente”. “Permettere che di fatto possano realizzarsi l’accesso ai mercati, la creazione di posti lavoro, la stabilità politica, per i paesi da cui ora partono gli emigrati, rimane l’opzione migliore perché fa dell’emigrazione una libera scelta e non una costrizione per sopravvivere”, rimarca il presule.
Interrogato su cosa manchi ancora per una gestione efficace del complesso sistema migratorio nel Mediterraneo, l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu ha ricordato che le due sponde del mare “sono segnate da differenze demografiche, politiche e religiose notevoli. L’insicurezza causata dai cambiamenti politici e il numero di giovani che sono pronti ad entrare nel mercato del lavoro sosteranno di certo la continuità dei flussi migratori”.
Quindi, conclude, “anche se è il continente più ricco del mondo, l’Europa non potrà accogliere tutti”, ma “dovrà andare alla radice della questione” e “prendere misure più ragionevoli” che permettano ai migranti di venire nel continente “legalmente e in maniera ordinata”, perché “ne ha bisogno”.