"Se crollasse la Siria, per il Medio Oriente sarebbe una catastrofe"

Nuova intervista al Vicario Apostolico di Aleppo, mons. George Abu Khazen, in cui esprime i suoi timori per la situazione nel martoriato paese e spiega perché oggi sia fondamentale salvare lo Stato Siria

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ZENIT lo aveva già intervistato alcuni giorni fa in occasione di un incontro durante il Meeting di Rimini, al quale aveva partecipato insieme al suo predecessore Giuseppe Nazzaro. Tuttavia il Vicario Apostolico di Aleppo, George Abu Khazen, vescovo dei Latini in Siria, ha ancora tanto e tanto da dire. Non potrebbe essere altrimenti considerando che la sua opera si svolge nella città più antica del mondo ancora abitata e oggi, purtroppo, la più pericolosa. Mite, con il sorriso abituale dei frati minori, ma forte e determinato come le montagne del Libano dove è nato e cresciuto, il presule ha partecipato al Meeting con grande entusiasmo, offrendo una toccante testimonianza durante il succitato incontro tenuto dal Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria. Nei suoi occhi, tuttavia, c’è un misto di nostalgia e commozione. Tutti lo cercano, e lui si presta umilmente a interviste e conferenze, cosciente della grande responsabilità verso il suo popolo. “Prima di partire da Aleppo tutti mi dicevano porta nostri saluti e racconta al mondo ciò che succede a noi!”, racconta infatti a ZENIT. Di seguito l’intervista.

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Quale è la situazione della popolazione civile oggi in Siria?

Dipende dalla zona, la situazione varia varia da un posto all’altro, in alcune zone la gente vive in sicurezza lontana dagli scontri, realisticamente tranquilla, anche se tutti i siriani sono stati colpiti, sia personalmente, sia per la presenza di altissimo numero di sfollati. Le zone degli scontri sono invece molto più pericolose, distrutte e danneggiate. Ad esempio ad Aleppo manca tutto: acqua, corrente, combustibili, aumento spropositato del costa della vita, sommata ad una totale disoccupazione. Gli unici che riescono oggi ad arraggiarsi sono gli impiegati statali e i pensionati, mentre tutti gli altri vivono di aiuti e sussidi. Immaginate un padre di famiglia che arriva la sera senza poter comprare la cena ai suoi figli! Ovviamente tutto ciò unito alle minacce quotidiane di razzi e colpi di mortaio, a case distrutte e una lista quotidiana di vittime. Tutti i giorni contiamo decine di vittime civili perfino nei quartieri cristiani.

Dopo quattro anni l’Occidente si è accorto che le minacce ai cristiani del Medio Oriente sono una realtà? Ma quale è la vera minaccia?

Mi domando se davvero l’Occidente è preoccupato per le minacce ai cristiani in Medio Oriente. E’ un punto interrogativo. Il pericolo più grande è l’espansione dell’estremismo: l’esempio più eclatante è il cosiddetto Stato Islamico, che rappresenta oggi un vero pericolo non solo per i cristiani, ma per tutte le minoranze etnico religiose, oltre all’Islam moderato. I cristiani di Aleppo ad esempio vivono quotidianamente con il timore e la paura, perché l’IS è a solo 20km di distanza dal centro della città. Se mai l’Is dovesse arrivare ad Aleppo, una città già di per sè molto complessa, non ci sarà scampo e sarà una distruzione totale.

L’Occidente teme più per la sorte dei crisitiani o per i propri interessi?

Per me l’Occidente di sicuro non è preoccupato per i siriani cristiani, perché in quattro anni quando erano davvero in pericolo nessuno ha mosso un dito. Anzi, ci accusavano di essere schierati, di stravolgere le realtà, di dire il falso, e che sbagliavamo in tutto. Se si sono mossi oggi è per altri motivi. In Occidente si mobilitano tutti per salvare un animale minacciato di estensione e proteggere il suo habitat, mentre intere popolazioni etniche e religiose vengono sradicate dalle loro terre d’origine dove vivono da secoli, e nessuno apre bocca.

Quale è la situazione dei villaggi cristiani nella provincia di Idlib?

A Ghassaniyeh la presenza dei cristiani è stata cancellata totalmente, non sappiamo nulla delle chiese e dei conventi, se sono stati distrutti, bruciati o saccheggiati. Nelle altre tre Kunayeh, Yakibiyeh e Jidayde è rimasto un piccolo nucleo di famiglie crisitiane: circa 700 persone con due frati, che servono loro parrocchiani spiritualmente e socialmente. Le parrocchie cattoliche e quelle ortodosse sono rimaste invece senza nessuno. Quando sono entrati i jihadisti dello Stato Islamico, avevano ordinato nei villaggi di togliere tutti i simboli cristiani, croci, statue e immagini sacre, dentro e fuori le chiese e le abitazioni, obbligando le donne a coprirsi. Oggi invece sono sotto altri gruppi armati ma con il pericolo continuo dei saccheggi.

L’Occidente ha ignorato a lungo i timori della Chiesa in Siria. Essa, però, è divenuta oggi un punto di riferimento per tutti?

La Chiesa in Siria non è schierata politicamente, ha sempre addottato un posizione obiettiva perché raccontava la verità e la realtà dei fatti, anzi in tanti l’hanno accusata ingiustamente di essere di parte. Il suo obiettivo era salvaguardare il Paese e suoi cittadini, in particolare i cristiani, perché aveva una chiara visione di come sarebbero andate le cose. Ed eccoci oggi, vediamo cosa accade. Era una posizione profetica piuttosto che una posizione schierata. La Chiesa in Siria è attualmente molto vicina ai cittadini, sia cristiani che non; nessun vescovo ha lasciato la sua gente, nessun parroco ha abbandonato la propria parrocchia, le nostre possibilità sono limitate ma offiriamo soccorso ed aiuto concreto. Ospitiamo tutti i siriani sfollati senza distinzione: cristiani, cattolici, ortodossi, e musulmani. Il popolo siriano, abituato alla convivenza pacifica, oggi è coeso più di prima, e ha riscoperto in questi momenti difficili il vero volto della solidarietà, della carità e dell’accolglienza dell’altro, e forse questo è un segno in un mondo marchiato dall’individualismo e dal razzismo.

Perché oggi è fondamentale salvare la Siria?

Se crollasse lo Stato siriano, con tutto ciò che rappresenta  – e non parlo di un governo, ma dello Stato Siria – sarabbe una vera catastrofe che devasterebbe tutto il Medio Oriente. Dobbiamo salvare la Siria, come Istituzione, come idea, con i suoi principi di convivenze, dialogo, moderazione, e diversità e questo ciò che tanti purtroppo non vogliono. La nostra speranza è forte come la nostra fede. Il mio destino, quello di questa comunità e di questo Paese, non è nelle mani di un singolo, né di una forze regionale, né di una potenza mondiale, ma nelle mani di Dio, e questo destino lo riprenderemo per ritornare ad essere testimonianza vivente per gli altri, in tutto il Medio Oriente.

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Naman Tarcha

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