Tre milioni di euro è la cifra che la Santa Sede ha preventivato per il Fondo anti-Ebola, istituito per aiutare le Chiese cattoliche locali di Guinea, Liberia e Sierra Leone, i paesi più colpiti dall’epidemia. Nei giorni scorsi è stato stanziato il primo pacchetto di 500 mila euro a cui si aggiungeranno i contributi finanziari dei benefattori e di chiunque voglia aderire. L’impegno di raccolta e di gestione del Fondo è affidato al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace il cui presidente è il cardinale Peter Turkson.
Ai microfoni della Radio Vaticana, il porporato spiega che l’istituzione di questo piccolo fondo vuole sostenere la risposta dei tre paesi alla crisi causata dal virus. Nato su ispirazione delle parole del Santo Padre che ha paragonato l’Ebola alla lebbra, uno degli obiettivi dell’iniziativa – sottolinea Turkson – “è di aiutare le Chiese locali a migliorare le loro strutture, i loro posti sanitari per poter dare assistenza agli ammalati”.
Il secondo obiettivo, aggiunge, “è di dare assistenza agli orfani, vittime dell’Ebola, e ce ne sono tantissimi! Conosco un Istituto salesiano che già ha incominciato ad accogliere alcuni di questi bambini, a dare loro un po’ di istruzione … E poi conosco anche diocesi che hanno deciso di procedere diversamente: invece di creare un centro, hanno voluto incoraggiare i parrocchiani ad adottare alcuni di questi bambini, affinché crescano in un ambiente più familiare”.
Ma il fondo vuole anche garantire una “formazione per aiutare un po’ a fermare la diffusione di questa malattia” e “prestare anche assistenza di consulenza alle vittime di questa malattia, perché molte famiglie sono praticamente decimate da questo virus e devono ricevere aiuto su come affrontare questa situazione, come andare avanti con la loro vita”.
“Serve quindi assistenza psico-sociale”, afferma il cardinale. Poi – aggiunge – è necessaria anche un po’ di assistenza “a livello della Chiesa, del suo ministero pastorale”, perché la situazione dell’Ebola richiede sempre quella che si chiama la “no-touch policy”, cioè “la pratica di non toccare, e non toccando come fa un vescovo, per esempio, a cresimare. La stessa cosa vale per le sepolture: adesso hanno sviluppato un sistema che consente al parroco o agli imam di assistere alla sepolture delle vittime. Stando a debita distanza, si può aspergere l’acqua benedetta e dire una preghiera e benedire la salma prima della sepoltura”.
“Tutto questo – evidenzia il presidente di Giustizia e Pace – ha portato a cambiare un po’ tutto l’atteggiamento delle persone e la loro disponibilità ad aiutare. Quindi, tutti, tutti sono invitati, ognuno può contribuire a questo Fondo. E’ gestito qui al dicastero del Consiglio della Giustizia e della Pace insieme anche alla Caritas: ognuno può contribuire”.