Nel colloquio, Arice riflette sulla storica enciclica di San Giovanni Paolo II, di cui ricorrevano ieri i 20 anni dalla pubblicazione, che – afferma – rimane uno dei capisaldi del contesto socio culturale moderno, nonostante “nell’ultimo ventennio la crisi antropologica si sia acuita, le situazioni peggiorate e le persone sembrino essere più oppresse”.
“La forbice tra libertà e verità si sta allargando, i diritti dei deboli, dei concepiti, delle donne, degli anziani, dei malati, sembrano sempre più fragili, invece dovrebbero essere prioritari”, dice mons. Arice. E rimarca che, nel momento attuale, “annunciare il Vangelo della vita diventa sempre più rilevante” e che la Chiesa “è impegnata a portare e diffondere il Vangelo che accende luci”.
Tuttavia – soggiunge – nel contesto ecclesiale “non è sufficiente annunciare, bisogna infatti promuovere e soprattutto accompagnare, farsi cioè compagni di viaggio. Una pratica pastorale, questa, di cui Papa Francesco è maestro perchè denuncia il male che c’è e nel contempo si fa compagno di viaggio di tutte le persone ferite. Questo è un modo concreto di testimoniare il Vangelo della Vita”.
Alla domanda su come la Misericordia si intrecci al Vangelo della vita, il direttore dell’Ufficio CEI per la Pastorale della Sanità, spiega che “la Misericordia è il nome di Dio”: “La declinazione della misericordia si pratica operando il perdono nei confronti di chi è caduto. La misericordia è l’atteggiamento del buon samaritano, il comportamento del credente, il sussulto del cuore che si muove e si piega verso la persona bisognosa”.
“Da quanto dice Papa Francesco – aggiunge – mi pare di capire che la Misericordia è lo stile di vita cristiana, che non copre solo un ambito della vita ecclesiale ma la prende a tutto tondo. E’ in quel contesto che l’accompagnamento si fa perdono”. Il presule confessa quindi la sua meraviglia per l’annuncio del Pontefice di un Anno Santo della Misericordia: “Ha sorpreso tutti, ma ci si adeguerà testimoniando l’autentico stile di vita cristiana”.
Mons. Arice sposta poi lo sguardo sulla sanità italiana e sulle emergenze che essa deve affrontare oggi. Per quanto riguarda la qualità delle cure, dice, “l’Italia ha molti settori di eccellenza, un fiore all’occhiello di livello internazionale”. Il problema però rimane quello “dell’accesso alle cure per tutti”.
“Gli indigenti infatti – sottolinea – fanno sempre più fatica a poter essere raggiunti dalle cure sanitarie. L’esempio classico è quello delle cure dentistiche. La gente rinuncia perché non ha denari sufficienti per affrontare le cure dentistiche, e questo è un problema enorme”.
Inoltre, ci sono due questioni, tanto importanti quanto irrisolte, che sono le malattie neurodegenerative e di disabilità mentali. In Italia oltre un milione di persone sono affette dal morbo di Alzheimer, e una grande quantità di persone di età superiore ai 65 anni non è utosufficiente e grava sulle famiglie, osserva il monsignore. Notevole anche l’incremento di malattie psichiatriche connesse al deterioramento della salute mentale. “Si tratta – dice – di due grandi emergenze che gravano per lo più sulle famiglie, generando disagi e problemi di dimensione sempre più grande”.
Per questo motivo, il direttore della Pastorale della Sanità della CEI invita all’unità ed alla riflessione delle parti coinvolte per affrontare seriamente queste emergenze. Al di là di un tecnicismo esasperato, vi è infatti “un urlo silenzioso della domanda di senso della vita che emerge sempre più forte”. Ovvero, “perché vale la pena di vivere?”. “La vera sfida – conclude Arice – è rispondere a questa domanda”.