La via di accesso per la conoscenza del fenomeno o ente è l’intuizione.
Scrive infatti Heidegger, nelle prime pagine di Essere e tempo:
“[…] Il punto di partenza dell’analisi come l’accesso al fenomeno e il cammino attraverso i coprimenti predominanti richiedono una particolare assicurazione metodologica. L’idea di un’apprensione e di un’esplicazione dei fenomeni che siano ‘originarie’ e ‘intuitive’ è l’opposto dell’ingenuità di una ‘visione’ casuale, immediata e irriflessiva”[1].
E’ evidente l’intenzione del filosofo di considerare l’intuizione fenomenologica come il metodo specifico per analizzare gli enti e di evitare di equivocarla con il modo corrente di considerare l’intuizione alla stregua della percezione ingenua della realtà, propria dell’uomo della strada.
La fenomenologia, in quanto analisi degli enti, è quindi una ontologia. Afferma infatti Heidegger che, “considerata nel suo oggetto reale, la fenomenologia è la scienza dell’essere dell’ente: ontologia”[2]. Scrive inoltre che:
“l’ontologia e la fenomenologia non sono due diverse discipline che fanno parte della filosofia assieme ad altre. I due termini denotano entrambi la filosofia, nel suo oggetto e nel suo procedimento”[3].
Sembrerebbe che il “procedimento” per costituire l’ontologia, come scienza dell’essere dell’ente, sia l’intuizione fenomenologica, ma Heidegger precisa che “dalla ricerca stessa [condotta in Essere e tempo] risulterà che il senso metodico della descrizione fenomenologica è l’interpretazione [Auslegung].
Il logos della fenomenologia […] ha il carattere dell’ermeneuein”[4].
La fenomenologia, secondo Heidegger, è quindi di carattere ermeneutico-interpretativo e non intuitivo, come aveva affermato in un primo momento. E’ significativo che il termine “intuizione” (Anschauung) compare solo all’inizio di Essere e tempo, per essere sostituito con comprensione (Verstehen) e interpretazione (Auslegung).
E’ da sottolineare che tra gli “esistenziali”, cioè i modi di essere specifici dell’essere umano, il filosofo menzioni non l’intuizione, ma la comprensione e l’interpretazione. Gli enti possono quindi soltanto essere compresi e interpretati, ma non intuiti.
Come abbiamo visto nei precedenti articoli[5], avere affermato la centralità del Verstehen-Auslegung (comprensione-interpretazione) nella conoscenza della realtà ha avuto come conseguenza, negli ulteriori sviluppi della fenomenologia ermeneutica heideggeriana, la negazione dell’esistenza della realtà e di Dio.
Il maestro di Heidegger, Husserl, è l’iniziatore della fenomenologia di carattere intuitivo e aveva affrontato il problema ontologico nella VI Ricerca logica.
In questa ricerca Husserl descrive il fenomeno della percezione ed evidenzia la connessione che la lega all’oggetto percepito. Scrive infatti: “percezione e oggetto sono concetti strettamente interdipendenti, che si assegnano reciprocamente il loro senso, ampliandolo e riducendolo correlativamente”[6].
La percezione è percezione di un oggetto, di una cosa, di un ente. Si percepisce un albero, una casa, ecc.
L’analisi fenomenologica della percezione evidenzia come con essa si intuiscano non soltanto gli aspetti sensibili degli enti, ma anche e soprattutto quelli intellegibili, tramite i quali si conoscono i significati insiti negli enti. Tali significati sono conoscibili tramite l’intuizione “categoriale”, la quale coglie, tramite l’intuizione “sensibile”, l’essenza dell’ente indagato.
Riguardo al concetto di intuizione categoriale in Husserl, Nicoletti scrive:
“[…] Come l’analisi husserliana perviene all’intuizione categoriale? Il punto di partenza è l’intuizione sensibile, attraverso la quale la percezione sensibile termina ad un oggetto, ad es. un calamaio. La percezione sensibile, in quanto sensibile, si fonda per Husserl su quella componente ‘reale’ (reell) del vissuto che è la hile, il dato meramente sensibile (il bleu, il nero, l’estensione spaziale, ecc.). Nella percezione sensibile, però, oltre al dato sensibile è data insieme l’apparizione di un oggetto, il calamaio, appunto. Ma l’oggetto in quanto oggetto, cioè l’oggettualità, non è il semplice dato sensibile, anche se è percepito sul fondamento di questo. Ma che cos’è l’oggetto? E’ la ‘cosa’, la ‘sostanza’ che, pur data nei dati sensibili, non è semplicemente questi dati sensibili”[7].
Husserl, oltre ad analizzare gli oggetti o gli enti percepiti, si interroga sul loro essere. Scrive infatti:
“Io posso vedere il colore, non l’essere-colorato. Posso avere la sensazione della levigatezza, ma non dell’essere-levigato. Posso udire il suono, ma non l’essere-sonoro. Nell’oggetto l’essere non è nulla, non è una sua parte, non è un momento insito in esso: esso non è una qualità o un carattere di intensità, e neppure una figura, una forma interna in generale, una proprietà costituita comunque intesa. Ma l’essere non è nemmeno qualcosa che si aggiunge all’oggetto, come non è una proprietà reale interna, così non è nemmeno una proprietà reale esterna: per questo, in senso reale, non è ingenerale una ‘proprietà’. Infatti esso non riguarda neppure le forme intrinseche di unità che connettono gli oggetti in oggetti più comprensivi, i colori in strutture cromatiche, i suoni in strutture armoniche, le cose in cose più ampie o ordinamenti tra cose (giardini, strade, mondo fenomenale esterno). In queste forme intrinseche di unità si radicano le proprietà esterne degli oggetti, la destra e la sinistra, l’alto e il basso, il piano e il forte, ecc. – dove naturalmente non è dato trovare nulla di corrispondente allo è”[8].
Questo è non è qualche cosa, cioè non è un ente, ed “è vano cercare […] qualcosa che corrisponda all’essere” e non è percepibile, perché la percezione riguarda le cose, gli enti e “l’essere non è assolutamente nulla di percepibile”[10].
L’essere non è un ente e non è percepibile e ciò nonostante, come vedremo nei prossimi articoli, è il fondamento che regge il mondo: l’Essere è Dio.
La puntata precedente è stata pubblicata sabato 14 marzo 2015.
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NOTE
[1] M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 57.
[2] Ibidem, p. 58.
[3] Ibidem, p. 59.
[4] Ibidem, p. 58.
[5] Vedi in particolare Per quelli che il Creatore non esiste. La realtà non esiste e Per quelli che il Creatore non esiste. Dio non esiste.
[6] E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G. Piana, II vol., Il Saggiatore, Milano 1968, p. 440.
[7] E. Nicoletti, Per una fenomenologia ermeneutica, in Idem, Fenomenologia e interpretazione, a cura di F. Brezzi e D. Iannotta, Introduzione di P. Ricoeur, Franco Angeli, Milano1989, p. 45.
[8] E. Husserl, Ricerche logiche, cit., p. 440.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.