Sono state oltre 4mila solo nel 2014 le vittime di violenze e abusi in decine di paesi del mondo, soprattutto del Medio Oriente. E centinaia di migliaia continuano a morire ogni anno, discriminate per la loro fede.

Sono i drammatici dati denunciati da mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, durante il Consiglio dei diritti umani dell’Onu riunito in questi giorni nella città elvetica.

Ai microfoni della Radio Vaticana, l'arcivescovo domanda risposte concrete alla comunità internazionale per proteggere tante vittime innocenti, attraverso la via del dialogo o, solo in "extrema ratio"l’uso della forza.

"La comunità internazionale - sottolinea Tomasi nell'intervista - si è data delle strutture per le emergenze che accadono nel cammino della storia e queste strutture sono le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza e gli organismi collegati ad essi. Certo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando è stata formata l’organizzazione delle Nazioni Unite, si pensava che mai più gli orrori, le tragedie, le atrocità commesse durante quel conflitto si sarebbero ripetute. Ma purtroppo vediamo che nel cosiddetto Stato islamico e in altre parti del Medio Oriente e del mondo continua una violenza spietata contro persone innocenti. Allora, la questione da porsi è: cosa può fare nelle circostanze attuali la comunità internazionale?".

Oltre a cercare di dare "un aiuto umanitario" per alleviare le sofferenze, secondo il presule "ci sono altri tentativi possibili": "Uno - dice - è certamente quello di continuare lo sforzo del dialogo tra autorità e potenze politiche, per vedere di arrivare a un cessate-il-fuoco e a far smettere questa violenza sistematica, che sta distruggendo migliaia di persone, intere culture e comunità". Tuttavia, "non sempre c’è la volontà politica di rispondere in maniera costruttiva o di impegnarsi per dei compromessi che possono portare la pace".

Siamo di fronte a un vero e proprio "genocidio", afferma l'osservatore vaticano, "perché quello che si sta verificando in Medio Oriente è la distruzione sistematica di un gruppo di persone identificate per la loro credenza religiosa o perché sono in disaccordo con le autorità che comandano il territorio".

Davanti a queste tragedie scatta allora "l’obbligo morale", cioè "il dovere – come previsto nei regolamenti e nella giurisprudenza internazionale – di proteggere questa gente. Decidere le modalità per la protezione di queste persone, i cui diritti fondamentali sono violati, tocca alla comunità internazionale".

Alla domanda su quale ruolo possano giocare gli stessi Paesi mediorientali, mons. Tomasi ribadisce che "i Paesi della regione, dove queste atrocità vengono commesse, devono impegnarsi in maniera diretta a proteggere i loro cittadini". "La solidarietà della comunità internazionale è necessaria - aggiunge - però non senza la presenza, la partecipazione attiva di questi Paesi che sono direttamente coinvolti. E per arrivare a questo accordo è necessario che ci sia una coalizione di vasto respiro e che abbia un obiettivo chiaro, che è quello semplicemente di portare la pace e di rimettere nelle loro case e nelle loro proprietà le persone che sono state costrette a fuggire e che si trovano ora nei campi profughi dei vari Paesi della regione del Medio Oriente".

Per l'arcivescovo, il cammino ideale è certamente "quello di negoziare e di arrivare senza violenza ad una soluzione", dal momento che "la violenza porta sempre a dei risultati che non sono costruttivi e poi, a lungo andare, richiama altra violenza". Pertanto l’uso della forza, "anche se purtroppo alle volte è necessario", è una "extrema ratio", "una soluzione veramente limite, quando tutte le altre vie sono state tentate per salvaguardare i diritti fondamentali delle persone, che vengono in questo momento uccise, torturate e veramente distrutte in maniera orribile".

In ogni caso, la speranza è che questa sorta di genocidio potrà essere la molla morale, perché i soggetti politici finalmente reagiscano e costruiscano un futuro di stabilità per tutta la regione mediorientale. "Speriamo - è l'auspicio di mons. Tomasi - che il prezzo alto pagato dalle comunità cristiane che hanno avuto tanti martiri, tante persone scarificate, possa essere l’elemento che porti a una riconciliazione". Certo, "è un cammino molto difficile - ammette - perché se guardiamo alla storia degli ultimi 100-150 anni vediamo che c’è stato un dissanguamento sistematico, progressivo e continuo della presenza cristiana in questi Paesi, dovuto al fatto che c’è una posizione strutturale di queste comunità religiose che porta alla discriminazione".

La strada per una soluzione "duratura ed efficace" è che "i cittadini di questi Paesi siano riconosciuti tutti come cittadini, con diritti e doveri uguali davanti allo Stato, e quindi anche che vengano protetti e abbiano accesso a tutti i servizi, al lavoro, all’impiego, al servizio pubblico come ogni altro cittadino. Questo - conclude il delegato vaticano - è il punto fondamentale che può preparare un cambio efficace e duraturo nella regione".