La fede che resiste alle ruspe

I jihadisti distruggono opere plurimillenarie per mettere in discussione il credere ed il creare, due atti fondamentali che l’uomo pone in essere per raggiungere l’oltre

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«Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza come la verità è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione».

Queste le parole dei Padri conciliari alla chiusura del Concilio, l’8 dicembre 1965. Lanciavano al mondo un messaggio che sarebbe stato dimenticato non molto tempo dopo. Oggi, del resto, c’è chi non esita a demolire la memoria pur di per cancellare la fede. Letteralmente, armato di mazza e piccone, come i militanti dell’Isis che distruggono reperti assiri a Mosul, dopo averlo fatto a Nimrud e Hatra. E prima di essi i talebani, che sbriciolarono a cannonate le statue del Buddha di Bamiyan. Le definiscono operazioni di pulizia culturale, perché si accaniscono contro culture non islamiche: cristiani caldei e yazidi, o islamici delle minoranze. E mettono nel mirino resti di quasi 5.000 anni fa, oggetto di un accanimento che, ironia della sorte, ne dimostra la loro eterna attualità.

Se ciò accade è perché i jihadisti sanno che l’antichissima civiltà rappresentata da quelle opere è parte dell’umanità, è persino dentro la mente di quanti non l’hanno ancora neppure studiata, magari perché non ancora nati. E siccome una volta al mondo e cresciuti potrebbero farlo, la volontà dell’Isis è impedirlo, per cancellare il passato e perché il futuro  non abbia nulla in comune con il passato stesso che lo stava preparando. E ciò secondo una concezione tipica dei regimi totalitari, che per procurare generazioni fedeli alle proprie ideologie per prima cosa uccidono i genitori di quei figli. Così è stato col nazismo, col comunismo, col fascismo e, in genere, con tutti le dittature che la storia ha conosciuto. Così è, ai giorni nostri, in luoghi che sembrano lontani e che invece, per la comunanza di radici storiche, culturali e religiose, sono appena dietro l’angolo.

La guerra all’arte, ai manoscritti, ai libri, e con essi alla memoria, ha un solo fine: mettere in discussione il credere ed il creare, due atti fondamentali che l’uomo pone in essere per raggiungere l’oltre, per dirla suggestivamente con il poeta Paul Valéry, per il quale «il pittore non deve dipingere quello che vede ma quello che vedrà». Arte e fede fanno germogliare e custodiscono in grembo una verità alta ed efficace. Non interpretano soltanto. La loro funzione è epifanica: si crede religiosamente e si crea artisticamente per scoprire il senso supremo dell’essere e dell’esistere e non semplicemente per impreziosire l’anima, oppure le case e le città.

È questa la via attraverso la quale la Grazia irrompe nell’arte e fa vedere la realtà con occhi diversi, portando alla scoperta di nuovi mari quanto più si naviga. È il mistero della Trascendenza. I signori del terrore, che si dicono invincibili, ne hanno una fifa matta. Per questo hanno deciso di sconfiggerla con le ruspe, come se fosse possibile demolire l’Infinito.

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Vincenzo Bertolone

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