Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente lectio divina sulle letture liturgiche della III Domenica di Quaresima (Anno B), 8 marzo 2015.
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Rito Romano
Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Rito Ambrosiano
III Domenica di Quaresima – “di Abramo”[1]Es 32,78-13b; Sal 105; 1Ts 2,20-3,8; Gv 8,31-59
1) Il Tempio di Cristo.
Dopo le prime due Domeniche di Quaresima, durante le quali abbiamo meditato le tentazioni e della trasfigurazione di Gesù, che quest’anno abbiamo letto secondo il racconto che ne fa San Marco, la Liturgia ci fa continuare il nostro itinerario verso Pasqua con alcuni brani del vangelo di Giovanni. In questa III domenica di Quaresima (ciclo B) il brano del Vangelo è preso da Gv 2,13-25, che descrive la cacciata dal tempio dei venditori e la promessa da parte di Gesù di un nuovo Tempio[2]: Lui stesso. “Non sono pochi coloro i quali affermano che il Dio-Uomo è nato dal seno verginale che lo Spirito del grande Dio ha formato, costruendo un tempio puro al tempio. La Madre, infatti, è il tempio di Cristo; questi a sua volta è il Tempio del Verbo” (San Gregorio di Nazianzo). Dopo il suo ritorno al Padre, per il quarto vangelo (quello di Giovanni), la stessa persona di Gesù sarà il nuovo tempio, l’ambiente vitale dell’inabitazione reciproca del Padre e del Figlio, il vero luogo della comunione intima con il Dio trinitario, a cui sono chiamati tutti i credenti (cf. 14,2; 1 Gv 1,3).
In effetti, l’evangelista Giovanni non si accontenta di presentarci Gesù che, al modo degli antichi profeti, ci richiama al vero culto. Afferma che Gesù – e precisamente il Cristo morto e risorto – è il vero tempio: “Egli parlava del tempio del suo corpo”.
Che significa affermare che Gesù è il vero tempio? Duplice era il significato del tempio nell’Antico Testamento: luogo dell’incontro con Dio e luogo del raduno delle tribù. Dunque una dimensione verticale e una orizzontale. Gesù è tutto questo, afferma il vangelo di Giovanni. È in Lui che possiamo fare un’autentica esperienza di incontro con Dio ed è in Lui che possiamo fare un’autentica esperienza di fraternità.
Incontrare Dio è il desiderio di tutta la Bibbia, l’interrogativo che la percorre da un capo all’altro: dove e come posso incontrare il Signore? In Gesù, risponde l’evangelista Giovanni. A Filippo che gli chiedeva “Signore, mostraci il Padre”, Gesù risponde: “È tanto tempo che sei con me e ancora non lo sai? Chi vede me vede il Padre” (14,8-9). E il desiderio della Bibbia (e di ogni uomo) è anche un altro: uscire dalla dispersione e incontrarci insieme, abbandonare le contrapposizioni e vivere da fratelli. Ma dove e come è possibile? Attorno al Cristo e alla sua Croce, risponde Giovanni: “Quando sarò innalzato da terra, cioè in Croce, attirerò tutti a me”. “Tutti” dice l’universalità più completa. E “attirare” non dice una forza che ci costringe, ma una bellezza che ci attira con il suo fascino. Il Crocifisso innalzato svela che l’amore, che tante volte appare sconfitto, è in realtà vittorioso, capace persino di vincere la morte. Questa è una lieta notizia che ogni uomo vorrebbe sempre sentire e farne esperienza.
2) Noi, Chiesa, Tempio di Cristo.
La Chiesa è il Corpo reale di Cristo, ne è quindi il Tempio, che però necessità di purificazione.
Mi spiego in modo meno sintetico.
La prima volta che Gesù chiama Dio Padre mio è quando a Gerusalemme caccia i venditori dal tempio (Gv 2,14-17) e fa seguire alla sua coraggiosa azione nella casa di Dio il rimprovero: “Non fate della casa del Padre mio una casa di mercato” (v. 16). Due aspetti meritano di essere sottolineati in questa espressione. Anzitutto, Gesù si proclama “Figlio di Dio” e chiama Dio con l’appellativo di Padre mio. Il gesto profetico e le chiare parole rivolte ai venditori costituiscono una novità assoluta nella religiosità ebraica[3].
Inoltre, Gesù parla del tempio d’Israele come della “casa” del Padre suo. Questa particolarità di Giovanni rispetto ai tre Vangeli Sinottici (di Marco, di Matteo e di Luca), che parlano invece del tempio come “casa di preghiera” (cf. Mt 21,13; Mc 11, 17; Lc 19,46), è di grande valore spirituale e teologico. Nell’Antico Testamento il tempio era considerato la casa di Dio (cf. Es 25,40; 1 Re 6,1; Sal 122, 1) e il centro del culto dell’Altissimo. Per Gesù il tempio è la “casa” del Padre suo, che egli, come Figlio, prima di prenderne possesso, deve purificare dalla profanazione del commercio.
Se Dio è Padre, è assurdo onorarlo, con offerte materiali, come il bestiame o il denaro. Il Padre esige solo il culto spirituale e interiore da vivere nell’amore, rifiutando un culto del tempio, contrario alle esigenze dell’alleanza stipulata fra Dio e il suo popolo (cf. 1 Re 19,10.14).
In questo episodio della cacciata dei mercanti dal tempio (Gv 2,13-25) noi oggi apprezziamo il gesto fortemente provocatorio di Gesù, che “fece una sferza, cacciò tutti dal tempio, rovesciò per terra le monete dei cambiavalute”. Tuttavia, non credo che questo gesto voglia semplicemente significare che il culto debba svolgersi con decoro: non come un chiassoso mercato, ma nel silenzio e nel raccoglimento. Troppo poco. Il gesto polemico di Gesù si riallaccia ai profeti, i quali hanno spesso polemizzato con il culto che si svolgeva al tempio, non certo per abolirlo, ma per purificarlo. I profeti ricordavano continuamente che il culto non è solo adorazione: è –al tempo stesso- conversione e missione.
All’avvicinarsi della Pasqua, questo gesto di Cristo, e le parole che lo interpretano, risuonano come forte invito a non fare della casa del Padre nostro un mercato. Del tempio di Gerusalemme, di ogni chiesa, ma soprattutto del cuore. A ognuno di noi Gesù ripete il suo avvertimento: non fare mercato della fede. Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita di favori, secondo la quale diamo qualcosa a Dio (una Messa, un’offerta, una candela…) perché lui dia qualcosa a noi. Se facciamo così, se crediamo di coinvolgere Dio in questo giuoco mercantile, siamo solo dei cambiamonete, e Gesù rovescia il nostro tavolo: Dio non si compra. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Noi siamo salvi perché riceviamo. Non dimentichiamo che “tutto è grazia” (Bernanos).
Casa di Dio è l’uomo: non facciamo mercato della vita. Non immiseriamola applicando ad esse le leggi dell’economia e della finanza. Non vendiamo la dignità, la verità e la libertà in cambio di cose. Non vendiamo il cuore riducendo i suoi sogni a oro e argento. Non facciamo mercato del cuore.
Casa di Dio è la nostra persona di battezzati che vivono in comunione: tempio fragile, ma bellissimo e aperto all’infinito amore di Dio. L’importante che su di noi, “pietre vive e purificate” dal digiuno, dalla preghiera e dall’elemosina, Cristo posi la sua Luce.
Lui è il Redentore, venuto ad illuminare l’uomo con la Luce della Verità, a purificare il tempio, a riaprire la ragione all’orizzonte grande di Dio. Lui è la Verità, che Crocifissa il Venerdì santo, vedremo splendere il giorno di Pasqua e accoglierci dentro il nuovo Tempio del Suo Corpo. Perciò “mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi predichiamo Cristo Crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati […] potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,23-24).
Un modo di predicare Cristo crocifisso è quello delle Vergini consacrate nel mondo che con la loro piena donazione al Redentore fanno trasparire la Sua luce. In effetti queste donne mostrano che la fede non è un salto nel buio, ma nella luce. Nella luce di Dio che irradia il mattino e la sera, “fa sorgere oltre la morte, nello splendore dei ciel
i, il giorno senza tramonto”. (Liturgia delle Ore, Inno di nona)
Loro hanno creduto all’Amore e sono speciale testimonianza di un amore ricevuto, che rende liberi e gioiosi, capaci di amare gli altri senza legarli a se stessi, ma a Dio.
La verginità è la modalità d’amore che meglio lascia trasparire l’amore di Cristo, tenendo viva la luce della lampada che hanno ricevuto il giorno della loro consacrazione (RCV 20). In questo modo le lor persone sono, nell’umiltà della vita quotidiana, ci introducono nel mistero di Cristo, “Luce del mondo”. In fatti Gesù si è presentato agli uomini con queste parole: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
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NOTE
[1] Nel Rito Ambrosiano le domeniche di quaresima sono chiamate:– domenica all’inizio della Quaresima o I di Quaresima (il catecumeno deve rinunciare a Satana se vuole diventare cristiano)
– domenica della Samaritana o II di Quaresima (il Battesimo quale acqua di vita che ci dà la vita eterna)
– domenica di Abramo o III di Quaresima (il Battesimo quale professione di verità che ci inserisce tra i veri figli di Dio)
– domenica del Cieco o IV di Quaresima (il Battesimo quale illuminazione miracolosa delle nostre tenebre spirituali)
– domenica di Lazzaro o V di Quaresima (il Battesimo quale morte e sepoltura con Cristo per poter con Lui risorgere)
– domenica delle Palme o VI di Quaresima (il Battesimo quale unzione santificante).
[2] Il corpo di Cristo, nuovo tempio. Nel Quarto Vangelo, come nell’Apocalisse, il Cristo trafitto dai peccati degli uomini occupa il centro della storia religiosa del mondo. Egli è il nuovo Tempio di cui parlava il Quarto Vangelo al capito 3 dove, in occasione della Purificazione del Tempio, Gesù esclama: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Subito l’Evangelista annota: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo». [3] Nell’Antico Testamento, nessun israelita osava chiamare Dio suo Padre in senso personale, e quindi dirsi suo figlio. Dio era considerato come il Padre del popolo per le grandi gesta da lui compiute nella storia di Israele (cf. Es 4,22; Nm 11,12; Is 1,2ss.; Ger 3,14.19; 31,20). Gesù soltanto parla di Dio in modo unico e nuovo, chiamandolo: il Padre mio. Il Dio di Gesù è un Padre che salva e non condanna, libera e invita alla comunione in un cammino di fede attraverso il Figlio. I discepoli, infatti, potranno parlare di Dio come Padre dopo la risurrezione, quando Gesù rivelerà a Maria di Magdala che il Padre suo è diventato veramente il Padre di tutti, naturalmente non per natura ma per grazia: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (20,17). In questa luce il senso trascendente e dinamico di questa espressione, usata da Gesù, appare, in modo sempre più chiaro, quando si analizzano tutti i testi in cui egli parla dei suoi rapporti con il Padre suo (cf. 5,17-26; 6,32.37.40; 10,30; 14, 10).