Nel museo di Mosul la fine della civiltà occidentale

Secondo l’arcivescovo di Ferrara la responsabilità forse è soprattutto di coloro che hanno apostatato da Cristo, poiché così facendo hanno apostatato da se stessi

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Statue e bassorilievi antichi abbattuti da uomini barbuti che poi li distruggono usando il martello pneumatico. È questo l’ultimo video diffuso dall’Isis a Mosul, a prosecuzione di una campagna contro le vestigia del passato che ha già visto i miliziani dello Stato islamico far saltare in aria luoghi di culto, dare alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mosul. Le immagini, diffuse attraverso un account Twitter usato dal Califfato, mostrano uno scempio perpetrato metodicamente nelle sale di quello che sembra un museo a Mosul. Durante il video, che dura cinque minuti, ci si sofferma sui cartelli in arabo e in inglese che illustrano i manufatti esposti. Su questo fatto abbiamo registrato il commento di mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio.

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Io mi auguro che i mezzi tecnologici di cui la nostra società dispone – e di cui spesso si abusa – conservino in modo vivo anche per le prossime generazioni l’immagine della tremenda vicenda di barbarie cui abbiamo potuto assistere come in diretta da qualsiasi parte del mondo: l’accanimento, demenziale ancor più che barbaro, nei confronti delle espressioni artistiche di uno dei grandi momenti della cultura universale, e che erano passate con devozione e rispetto da una generazione all’altra, da una cultura all’altra, da una civiltà all’altra. Perché la cultura e la civiltà non sono esclusive come invece lo è l’orrenda ideologia, anche religiosa. La cultura e la civiltà sono comprensive e sanno quindi assumere anche realtà storiche e culturali non nate dal proprio stretto ambito, di cui anzi si arricchiscono. 

È giustamente venuta in mente a quei pochi uomini di cultura che ancora esistono in questa società bolsa, la grande tradizione cattolica che per secoli e secoli ha saputo accogliere le espressioni della cultura classica, greca e romana, e poi più avanti di altre tradizioni perfino dell’Estremo Oriente.

Basti pensare alla cura appassionata con cui ad esempio le correnti benedettine prima e cistercensi poi, hanno accolto, custodito, copiato, ricopiato e commentato i documenti della tradizione classica. E questo movimento di accoglienza e di approfondimento ha generato la grande cultura dei monasteri, dei conventi e poi delle grandi università, come ci ha insegnato in maniera insuperabile il grande padre Chenu e in Italia il grandissimo don Inos Biffi.

Questa capacità di accoglienza, di rispetto, di approfondimento è stata polverizzata. L’espressione più turpe è la distruzione del diverso. In realtà anche noi europei abbiamo fatto esperienza di questo. Abbiamo sotto gli occhi le distruzioni delle tradizioni precedenti fatte per esempio da quella Rivoluzione francese che molto laicismo europeo considera ancora un punto di partenza insuperabile. E purtroppo non soltanto i laicisti, ma anche una certa fascia del mondo cattolico considera la Rivoluzione francese un dato insuperabilmente positivo.

L’Occidente ha assistito in anticipo alla sua fine. Nella tragedia che si è consumata in quel bellissimo museo di Mosul dove era custodito il fior fiore della grande arte, della grande cultura, l’Occidente ha visto la morte della propria civiltà, che è stata evocata in maniera insuperabile da Benedetto XVI nell’incompreso discorso di Ratisbona. La grande civiltà occidentale è una civiltà in cui la varietà delle forme di vita, di pensiero, di costume hanno saputo e sanno incontrarsi, conoscersi, valorizzarsi, combattersi se necessario, ma tutto questo per una novità di vita umana e storica che è il segno della civiltà. Tutto questo, piaccia o no, sta finendo se non propriamente è già finito. L’orizzonte è segnato dalla scia nera del Califfato, e sotto la scia nera del Califfato giace la libertà di coscienza e di cuore, la libertà fisica, la libertà di vivere dignitosamente e di professare le proprie convinzioni in maniera libera e responsabile. 

L’eccidio, gli eccidi, che sono ormai una cosa normale, l’immaginario dell’uomo occidentale lo ha già metabolizzato. Ne legge affrettatamente sui giornali o sui social network, scorrono i fotogrammi alla televisione mentre lui sta mangiando tranquillamente; come se fossero avvenimenti di un altro mondo. 

Una società moribonda non ha neanche la capacità di fare una autentica revisione critica della propria vita, ma se l’avesse bisognerebbe che emergessero tutti quelli che, consapevolmente o inconsapevolmente, hanno preparato e continuano a preparare nelle forme più diverse questa fine: tutti quelli che hanno perseguito il dialogo ogni oltre misura; tutti quelli che hanno sotto sotto più paura delle fede cristiana che della barbarie dell’ideologia islamista. Ma forse questa responsabilità è soprattutto quella di coloro che hanno apostatato da Cristo. E apostatando da Cristo hanno apostatato da se stessi. E siccome l’uomo è sempre strettamente congiunto con una società, apostatando da se stessi hanno distrutto la civiltà.

* Mons. Luigi Negri è arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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Luigi Negri

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