“Mario Luzi, rappresenta il fiore più appariscente di una pianta, perché tutto il ‘900 fiorentino ha prodotto delle figure di grande spessore culturale e poetico. Noi quest’anno festeggiamo tre centenari – quello di Bigongiari, quello di Luzi e di Parronchi – tutto nello stesso filone di un cattolicesimo attento all’umano, che a Firenze ha trovato l’habitat più fecondo. Direi, quindi, anzitutto questa appartenenza di Luzi ad una storia cittadina, segnata profondamente dal Vangelo, dal cristianesimo, con tutte le sue contraddizioni”.
Così il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha aperto l’altra sera l’evento dedicato al maestro fiorentino, tenuto nella basilica di Santa Maria del Fiore, dove è stata rappresentata l’opera di Luzi, Opus Florentinum, per la regia di Giancarlo Cauteruccio, promossa dall’Opera di Santa Maria del Fiore, dalla Comunità di San Leolino, con la collaborazione di Regione Toscana, della Fondazione Toscana Spettacolo e con il patrocinio del Comune di Firenze.
Il testo di Luzi parte dal dialogo di due contadini, che ragionano sulle voci che girano riguardo quest’opera grandiosa che sarebbe stata costruita a Firenze, il suo nuovo duomo, e l’iniziale diffidenza si trasforma man mano in apertura verso il futuro, verso quel cantiere che darà vita ad una delle costruzioni sacre più celebri nel mondo.
“L’attualità di questo testo – ha proseguito il porporato – sta nel fatto che Luzi ha saputo coniugare insieme l’attenzione alla trascendenza, l’attenzione all’umano e l’attenzione al civile. Direi che proprio questo non separare le cose tra lo spirituale e lo storico, tra il religioso e l’umano, sia il messaggio più forte che ci viene dall’Opus Florentinum”.
E sulla scena allestita nella navata centrale dell’imponente chiesa, si sono alternate le figure di Santa Maria Del Fiore interpretata magistralmente da Cristina Borgogni che ha offerto al pubblico un intenso e profondo monologo verso la città, Patrizia Schiavo nel ruolo di Santa Reparata, la chiesa su cui fu costruito il duomo e i cui resti si conservano all’interno di esso, e Massimo Grigò che ha regalato una convincente interpretazione del Canonico.
Insieme a loro il soprano Monica Benvenuti, che ha arricchito la scena con il canto sulle musiche originali di Hidehiko Hinohara e tutti gli altri attori e musicisti che hanno dato vita ai personaggi immaginati da Luzi, attraverso un dialogo costante con la sacralità dell’architettura. E l’Opus Florentinum diventa l’eredità spirituale di Luzi verso la sua amata città.
“È secondo me, un vero testamento spirituale, – spiega il regista della rappresentazione, Giancarlo Cauteruccio – perché questa opera scritta per Firenze, partendo dal cuore di questa città, quindi dalla basilica di Santa Maria del Fiore, è un vero e proprio dono lasciato ad essa. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e lavorare con lui, e devo dire, ho colto da Mario Luzi la semplicità, la cittadinanza e l’osservazione attenta. E nel suo testo questo si sente molto: quanto lui abbia osservato la città e i fenomeni. Perciò penso di essere stato molto fortunato ad avere avuto la possibilità di frequentare il maestro: questa cosa ha dato più forza alla mia vita”.