Il pellegrino che c'è in te

Cronaca di un viaggio a Medjugorje, tra aspettative e doni sorprendenti

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A Medjugorje c’è chi va per vedere se il sole si metterà a ballare un girotondo, chi si sente scettico, chi pensando ‘almeno una volta s’ha da fà’, chi con l’idea di collezionare qualche altra emozione intensa che sicuramente cambierà tutto; c’è chi arriva per fare un po’ di ‘benzina’ (che lì costa davvero poco), chi ha bisogno di ripigliarsi da qualche grossa fatica, chi per darsi una sciacquata prima di risprofondare nel coma quotidiano (perché si sa, nella vita in pantofole si va avanti a forza di schicchere spirituali oppure di calci nel sedere); c’è chi fa i bagagli per andare a vedere non si sa bene cosa, come inseguendo con l’acquolina in bocca un bocconcino appetitoso.

E c’è anche chi approda per caso, che in gergo “cristianese” a volte usano chiamare Provvidenza. Provvidenza che ha la fantasia di manifestarsi in tanti modi: un genitore che in cambio ti promette di comprarti una macchina, una fidanzata che ti dice con slancio “andiamo insieme!”, e se la guardi stupito ti risponde delusa “che non ti fidi di me?”; è lì che dovresti imparare ad essere sospettoso. Oppure c’è la sorella che ti fa una proposta obliqua: “Andiamo in vacanza in Croazia, ci facciamo un giro stupendo, poi un giorno potremmo anche fermarci un attimo a Medjugorje…”. “Ma perché?”. “Perché… ne ho proprio bisogno in questo momento…”. “Boh, se lo dici tu…”. “Dai, fallo per me!”, ti senti rispondere già con aria di gratitudine, perché la cosa ormai è fatta.

Può verificarsi anche il caso dell’amico che ti aggira con l’inganno (che poi se va male se la rischia brutta): “Andiamo in vacanza insieme, poi due o tre giorni ti porto in un posticino che conosco io, che è la fine del mondo. Tanti giovani, organizzano un festival… Ci stanno pure un sacco di ragazze…”. “Scherzi, allora si va!”.

E tu arrivi preparandoti a chiedere informazioni in croato su quale sia la discoteca più in del posto. Il momento più critico è proprio quello dell’arrivo: ti guardi intorno e vedi gente con i rosari, bancarelle che straripano di souvenir non esattamente di tuo gusto; e poi senti cantare ininterrottamente agli altoparlanti ‘Dona la pace, dona la pace’, mentre tu ti senti precipitare in un abisso. Poi incontri altri gruppi di pellegrini come te: si comincia con due chiacchiere tra una avemaria e un’altra, finché scopri di ascoltare esperienze nuove, storie di aspettative, di doni ricevuti e di fallimenti, di dolori travolgenti e di desideri appagati.

Ad un certo punto ti ritrovi ai piedi di una collina, hai un problema alle caviglie, non puoi davvero affrontare quella specie di scalata. Ti giri un po’ spaesato e osservi un ragazzo che cammina di fianco a te; ti dice di non preoccuparti, che puoi fermarti ad aspettare al baretto, non bisogna salire per forza. “Anche io ho un problema alle caviglie”. “E allora come fai?”. “Quindi l’unica cosa è salire”. Rimani perplesso per l’estrema lucidità di quella risposta e concludi che forse ti è sfuggito un nesso. Comunque sia cominci a salire sulla collina, preghi il rosario in compagnia, riscendi contento. Continui a guardarti intorno chiedendoti seriamente cosa ci sia di interessante da vedere in quel paese sperduto: niente di concretamente descrivibile oltre al fatto che si prega e si crea una specie di invisibile unione tra tutti i pellegrini.

Ti capita anche di scambiare due battute con qualche abitante del posto. Tornando verso la pensione dove sei alloggiato ti viene incontro un signore minuto e sorridente, il proprietario. Ogni volta che ti vede rientrare ti chiede se hai bisogno di qualcosa da bere, di un caffè o di un nocino, neanche fossi in un cinque stelle! Per qualsiasi cosa ti mette a disposizione la cucina e ti continua a ripetere ‘casa mia è casa tua’. È sempre vissuto qui, non sa dire tante parole in italiano ma si fa capire. Durante la guerra che dal 1992 al 1995 ha insanguinato queste terre ha perso tanti amici musulmani, croati cristiani, serbi, bosniaci; ricorda amaramente ma non perde il sorriso; si ferma, si fa serio e a bassa voce ti confida il suo segreto: “Pregare, pregare, pregare, tutti i giorni io pregare. Problemi sì, ma preghiera, e dopo… tutti felici”. ‘Preghiera’ e ‘felici’, ripete incessantemente; ti rimane impresso questo binomio misterioso e pensi: ‘Che sia così semplice?’; davanti agli occhi luminosi e sereni di quell’uomo si concretizza la tua ipotesi.

Al momento di rifare le valige ti torna in mente l’immagine della reazione compatita dei tuoi genitori appena ricevuta la notizia che saresti partito per Medjugorje: “Sicuramente stai soffrendo molto, altrimenti come ti sarebbe potuto balenare in testa di passare tre giorni d’estate lì? Povero figlio…”. È andata bene, ti senti sollevato per l’impresa compiuta, ma forse ti tradisce anche un vago desiderio di ritornare a Medjugorje un giorno e, mentre immagini quanto saranno tormentati mamma e papà dall’incubo di vederti tornare smunto ed emaciato, ti sorprendi a pensare ‘magari potessero venire anche loro’.

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Maria Gabriella Filippi

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