Chi ha secolarizzato l’Europa?È una domanda a cui da molti anni storici, teologi, filosofi e sociologi cercano di darsi una risposta, finora senza conclusioni definitive. La secolarizzazione, tuttavia, non solo non è un fenomeno qualificabile come positivo o negativo ma è un prodotto stesso della storia cristiana.
Se ne è parlato oggi pomeriggio nel corso di un dibattito promosso dal Meeting di Rimini, in cui è emerso il punto di vista di quattro studiosi italiani ed anglosassoni.
Il professor Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale all’Università di Firenze ha introdotto i lavori ricordando la natura essenzialmente culturale dell’Europa, un continente di dimensioni notevolmente ridotte rispetto agli altri cinque, il cui elemento di distinzione è nella sua singolarissima sintesi di tre grandi tradizioni: quella greca, quella romana e quella giudaico-cristiana.
È in Europa che la fede e la ragione hanno celebrato il loro lungo, felice e fruttuosissimo matrimonio (si pensi ai mirabili risultati ottenuti nell’arte, nella scienza o nel diritto) ma è nel medesimo continente che si è consumato il divorzio tra queste due realtà.
La secolarizzazione, tuttavia, come evidenziato dalle relazioni successive, oltre ad essere ovviamente distinta dal secolarismo, è principalmente una sfida che può presentare rischi ed opportunità.
Secondo Brad Gregory, professore di storia all’Università di Notre Dame (Indiana), le radici della secolarizzazione dell’Europa vanno senz’altro individuate nella transizione dal Medioevo alla modernità, quindi anche nella Riforma Protestante, la quale, tuttavia, nei suoi intenti originari e negli effettivi risultati dei suoi primi secoli, non si presentò affatto come un fenomeno secolarizzante.
Complice la dottrina della libera interpretazione delle Scritture, il protestantesimo ebbe però come conseguenza una dissoluzione della comunità in miriadi di chiese e, a lungo termine, una conflittualità che produsse un sostanziale rigetto nei confronti del concetto stesso di religione.
Ai fini della secolarizzazione incide poi un fenomeno assai determinante che è l’avvento del modo di produzione capitalistico, del consumismo, del mito dell’accumulazione dei beni, che si propongono come una vera e propria religione secolare, di cui, per molti versi, l’odierna Unione Europea è depositaria.
Adrian Pabst, docente di politica alla Kent University di Canterbury, ha definito la secolarizzazione dell’Europa un fenomeno “contingente” e “non ineluttabile”, sebbene particolarmente marcato e sovente aggressivo.
Se da un lato la secolarizzazione è un fenomeno soprattutto “procedurale”, che si manifesta, ad esempio, nella separazione del potere politico da quello religioso, il secolarismo ha una natura essenzialmente “programmatica”.
La mentalità secolarista si è manifestata di volta in volta nelle varie forme dello scientismo, dei regimi totalitari del secolo scorso e, in tempi più recenti, ha conosciuto la sua nemesi nell’esplosione della violenza fondamentalista, in particolare in ambito islamico.
Anche il fondamentalismo, tuttavia, se si riflette, è un prodotto della concezione dualistica del secolarismo, che divide nettamente fede e ragione, naturale e sovrannaturale, riducendo la religione a fideismo, senza alcuna aderenza alla realtà e alla razionalità.
Il rovescio della medaglia della profanazione del sacro è la sacralizzazione delle realtà secolari, come effettivamente è avvenuto con il mercato globale.
In conclusione, il professor Pabst ha comunque ribadito la non irreversibilità della secolarizzazione, specie laddove rimangono forti le “minoranze creative” promotrici dei valori fondanti di tutte le culture mondiali, dall’amicizia alla solidarietà: una di queste è proprio il Meeting di Rimini.
Da parte sua, Mauro Magatti, professore ordinario di Sociologia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha avanzato la provocazione della secolarizzazione come prodotto del cristianesimo stesso e della complessità della sua antropologia.
La figura di San Francesco, ad esempio, è per molti versi antesignana del cristianesimo moderno ed è emblema della “riconfigurazione del rapporto tra creatura e Creatore”.
Essendo il cristianesimo per sua natura connotato dalla libertà per l’uomo, è inevitabile che la storia cristiana attraversi una fase in cui, di fronte a Dio, l’umanità è come il Figliol Prodigo (cfr Lc 15,11-32), e la fase storica che stiamo attraversando è quella dell’abbandono del Padre, cui si presume seguirà la fase del ritorno e del perdono.
Nella secolarizzazione è quindi riscontrabile un doppio registro: da un lato c’è il “progetto esclusivista” di un uomo moderno che “si autofonda” e pretende di prendere in mano se stesso; dal’altro c’è “lo sforzo continuo di un rapporto che si evolve tra Dio creatore e le sue creature”.
Lungi dal vedere nella secolarizzazione un fenomeno esclusivamente negativo, è dunque possibile scorgere in essa una conseguenza dell’indistruttibile libertà dell’uomo ed un’occasione per ricalibrare la relazionalità dell’uomo stesso nei confronti degli altri e dell’Altro.