“L’apertura alla Cina” è stata, a parere di molti, uno dei punti chiave del viaggio di Francesco in Corea del Sud. Ma quello del Papa appare attualmente solo un primo passo verso un traguardo difficile da raggiungere: un vero dialogo tra Pechino e Santa Sede. Un dialogo auspicato già dai suoi predecessori e che Bergoglio vuole sia fraterno prima, poi politico. Un dialogo che si potrà realizzare solo quando cadranno certi muri calcificati nel tempo da paure e pregiudizi. E il trattamento che il governo cinese riserverà ai 300 giovani recatisi “illegalmente” alla Giornata della Gioventù asiatica sarà un banco di prova in tal senso. Di tutto questo ZENIT ne ha parlato con padre Bernardo Cervellera, direttore della nota agenzia Asia News, esperto di Asia ed Estremo Oriente, nella lunga intervista che riportiamo di seguito.
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Quale gesto o discorso del Pontefice durante il suo viaggio in Corea del Sud, secondo lei, ha una rilevanza “storica”?
Sono tantissimi perché il Papa è una personalità a tutto tondo e in ogni cosa che fa manda un messaggio… Tuttavia, a mio parere, il gesto più importante anche per la cultura asiatica è stato l’abbraccio alle persone disabili, l’aver giocato e trascorso del tempo con i bambini abbandonati, gli anziani. Lì, infatti, si vede la ferita dell’Asia e dell’Estremo Oriente, un mondo che rispettava gli anziani, voleva bene ai bambini, desiderava famiglie numerose; invece la secolarizzazione e lo sviluppo economico vorticoso degli ultimi tempi ha penalizzato le persone mandandole tutte a lavorare per 12-13 ore al giorno, lasciando gli anziani e i bambini soli in casa o negli istituti e via dicendo. Soprattutto, in nome del lavoro o per risparmiare soldi (considerando anche il caro costo della vita), spesso aborti o eliminazioni dei disabili diventano cose normali, anche se questo fa a pugni con la tradizione originale. Ciò è un giudizio, da una parte, sulla società moderna divenuta disumana e su uno sviluppo economico che non ha più al centro l’uomo ma il profitto; dall’altra, su certe tradizioni religiose ancestrali in tutto l’Oriente, per cui i disabili sono considerati un peso o una vergogna.
Come interpreta lei le “aperture” che Papa Francesco ha offerto alla Cina: dalle parole nel discorso ai vescovi coreani ai due telegrammi a Xi Jinping, a cui tra l’altro il presidente non ha risposto…
Io non trovo una novità queste “aperture”. La vera novità è che abbiano permesso al volo papale di attraversare lo spazio aereo cinese, anche se tale gesto rientra in una sorta di “galateo” per salvare la faccia con la comunità internazionale. Qualora avesse proibito all’aereo di sorvolare il suo territorio, la Cina avrebbe dato infatti un’immagine di sé veramente indietro di 60-70 anni. Riguardo alle aperture del Papa, penso che tutti i messaggi di Francesco, il desiderio di andare in Cina “anche domani” come ha detto nella conferenza stampa sul volo di ritorno, sono già dentro alla storia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Il desiderio di aprire un rapporto con la Cina o un dialogo con i paesi con cui non si hanno rapporti diplomatici (attualmente Corea del Nord, Laos, Myanmar e Vietnam ndr) l’hanno sempre avuto tutti i Papi sin dal giorno della loro elezione.
Quindi, secondo lei, non c’è un fattore di novità nell’approccio di Bergoglio al tema rispetto ai predecessori?
Trovo che la cosa ‘bella e buona’, la più importante tra quelle dette da Papa Bergoglio finora sia: “Io non penso tanto al dialogo politico, penso al dialogo fraterno”. Questa è la novità! Tutti coloro – giornalisti e non, osservatori della Cina, personalità vaticane – che pensano che i rapporti diplomatici tra Cina e Santa Sede siano la cosa più importante, la priorità su cui lavorare, sono stati smentiti dal Papa che ha detto: “Si questo va bene, però pensiamo prima ai rapporti fraterni, a un dialogo fra persone…”, a un desiderio cioè di farsi del bene reciprocamente, al di là delle classificazioni politiche e dei trattati bilaterali.
Alcuni affermano che con questo Papa latinoamericano si offra l’immagine del Pontefice non come “espressione del potere occidentale”. Lo spauracchio è dunque ancora quello dell’occidentalismo imperante o dei cristiani conquistatori? Eppure Benedetto XVI lo aveva chiarito con fermezza nella sua lettera ai cinesi del 2007, affermando che “la Chiesa cattolica che è in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l’amministrazione dello Stato, bensì di annunziare agli uomini Cristo”…
Bah… Sì, alcuni pensano che l’essere latinoamericano di Bergoglio faciliti le cose, ma io non sono del tutto d’accordo. Anzi penso proprio che ci sia una grande continuità tra gli ultimi tre Pontefici in tal senso. Non mi si dica che Giovanni Paolo II fosse un rappresentante della politica occidentale! Proprio lui che si è messo da solo contro l’intero mondo occidentale che voleva fare guerra all’Iraq e ha detto “No”. E Benedetto XVI? Il Papa emerito che nel discorso di Regensburg si è scagliato contro la cultura occidentale razionalista che appunto si gioca nel dominio e nello sfruttamento. Purtroppo quel discorso tutti lo hanno banalizzato riducendolo ad una frase citata dal famoso Manuele il Paleologo che lo ha fatto risultare tutto come un attacco contro l’islam… In realtà il discorso di Ratisbona è proprio una critica ferrata al razionalismo della cultura occidentale e quindi al colonialismo, alla tentazione di dominio insita nella cultura occidentale.
Il dialogo con la Cina, però, è rimasto una strada incompiuta nei precedenti Pontificati. Con Bergoglio si potrebbero fare passi avanti più concreti?
Non lo so. Però posso dire che questo Papa ha una marcia in più ed è il mostrarsi indifeso, umile, che in qualche modo ‘rischia’ personalmente. Magari con gli altri Papi si capiva che dietro c’era una Curia, un ministero degli Esteri, un lavoro. Francesco si mette in gioco personalmente e dice: “Non mi interessa che qualche politico cinese venga in Vaticano o viceversa, mi interessa il dialogo tra me e te, tra Francesco e Xi Jinping, tra il Papa e un cinese…”. Perché dal capirsi, dallo scoprirsi, dal far cadere delle prevenzioni tutto diventerebbe più facile. Già lui ha superato certi pregiudizi dicendo: “Guardate che i cristiani non sono venuti a conquistare niente. Non vengono a distruggere le culture, anzi a potenziarle”. Oggi lo ha ribadito ancora più chiaramente nella sua catechesi dell’Udienza generale.
Questa è, quindi, la posizione della Santa Sede. Dall’altra parte, invece, cosa c’è? Secondo il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, “la Cina è sempre stata sincera nel migliorare le sue relazioni con il Vaticano e ha sempre fatto sforzi positivi in questo senso”. Sono vere per lei queste affermazioni?
Questa è l’unica risposta ufficiale. Mi sembra però un po’ condizionata, nel senso che è stata un’agenzia francese a chiedere espressamente una dichiarazione al ministro che quindi ha dato una risposta che, in realtà, evita la risposta vera. Tutti invece, giornalisti in primis, hanno applaudito queste parole: “La Cina ha sempre pensato di migliorare le relazioni!”. Ma se la Cina ha sempre pensato di migliorare le relazioni, come mai dal 2007 c’è una lettera di Benedetto XVI al governo cinese con dei suggerimenti su come aprire un dialogo che ancora non ha ottenuto risposta? In 7 anni, non hanno mai trovato il tempo per rispondere?
Una risposta ora potrebbe essere, ad esempio, il trattamento che il governo riserverà ai 300 giovani che, nonostante le pressioni e le minacce, hanno partecipato alla Giornata della Gioventù Asiatica?
Sì quello sarebbe una risposta concreta, per due motivi. Anzitutto per vedere i passi avanti della politica cinese che dimostra chiaramente come la Cina non sappia ancora come comportarsi nei confronti del Vaticano e della Chiesa cattolica. Fino a febbraio, infatti, c’erano circa 150 giovani che volevano andare in Corea e le autorità hanno dato il permesso. Sembrava non ci fosse nessun problema. Quando poi c’è stato l’annuncio verso maggio che il Papa sarebbe andato lì, è cominciata un’opera da parte di Fronte unito, Ufficio affari religiosi, autorità provinciali e locali a convincere, minacciare, bloccare coloro che volevano parteciparvi. Addirittura i datori di lavoro e i presidi delle scuole hanno partecipato a questa campagna dissuasiva dicendo ai ragazzi di non andare perché “è una cosa proibita”, “non vogliamo che siate indottrinati dal Papa” ecc. Quindi ad alcuni hanno tolto il passaporto, ad altri li hanno minacciati di far perdere il lavoro e così via. Ciò dimostra quello che dicevo: la Cina non sa ancora come comportarsi nei confronti del Vaticano, non ha capito che il Papa è un personaggio di fede, non un leader politico che cospira contro i cinesi. La vicenda dei 300 ragazzi evidenzia anche che la Chiesa adesso in Cina vede come un ostacolo inutile tutti i limiti alla libertà religiosa. Tutti questi giovani hanno fatto uno slalom contro i diversi divieti e sono andati lo stesso in Corea, a loro rischio e pericolo. Speriamo che adesso che ritorneranno non avranno ritorsioni…
Non si sa niente ancora a riguardo?
Noi non abbiamo saputo nulla, anche perché adesso c’è un controllo spasmodico di cellulari, siti web… In ogni caso questo sarà il banco di prova: tutti quelli che dicono che è iniziata una nuova era tra Cina e Vaticano verifichino per favore cosa succederà a questi giovani. Se non succederà loro niente, allora quello sarà un bellissimo segnale di novità da parte della Cina; se succederà qualcosa vuol dire che il Paese vive ancora dietro nel tempo e non sa cosa fare.
Alla luce di tutto questo, secondo lei, è possibile o no un nuovo corso tra Santa Sede e Pechino? O il ramo d’ulivo teso dal Pontefice rimarrà senza risposta come i due telegrammi al presidente?
La mia impressione è che non ci sia un nuovo corso, bensì un nuovo impeto da parte della Chiesa, del Papa e del Vaticano di dire “insomma Cina vuoi diventare un Paese moderno e lasciare libertà religiosa ai cristiani e alle altre religioni?”. Anche perché la Corea ha dimostrato chiaramente cosa la Chiesa faccia per lo sviluppo della società, dell’uomo, della riconciliazione dei popoli… E quindi “capisci cosa ti perdi tu, Cina, nel bloccare i cristiani?”. Per ora vedo quest’impeto da parte della Chiesa, laddove, allo stesso tempo, c’è una paura da parte del governo di Pechino a rispondere.
Perché questa paura?
Perché, di fatto, il Partito Comunista cinese è diviso ancora tra chi vuole conservare i privilegi del monopolio del potere del Partito non ammettendo quindi nessun tipo di libertà alle religioni, e chi, invece, girando il mondo e osservando gli altri paesi, vede che la libertà religiosa è un alimento che può produrre frutti buoni nella società. Ad esempio, la cura dei disabili e dei migranti che sono numerosissimi in Cina, ma che non hanno nessuno che si occupi di loro. I cinesi sono divisi nell’individualismo tra un gruppo e un altro, tra una provincia e un’altra e la Chiesa potrebbe offrire una possibilità di riconciliazione. Finché però non “vince” la parte più liberale sarà difficile avere una qualche possibilità di dialogo.
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"Insomma Cina vuoi diventare un Paese moderno e lasciare libertà religiosa ai cristiani?"
I possibili risvolti del dialogo tra Cina e Santa Sede dopo il viaggio del Papa in Corea. Intervista a tutto campo con padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News