Il recente viaggio in Corea, ovviamente. Ma anche i rapporti tra Santa Sede e Cina, i conflitti in Medio Oriente, la possibilità di un suo viaggio in Iraq, la prossima Enciclica, il rapporto con il Papa emerito Benedetto XVI. Sono questi i temi intorno ai quali si è snodato il colloquio che il Santo Padre ha avuto con i giornalisti a bordo del velivolo che da Seoul lo stava riportando a Roma.
Il conflitto in Iraq introduce il botta e risposta tra il Papa e i giornalisti. Un argomento di stringente attualità, che Francesco – come ha scritto nella lettera inviata a Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu – vive “con il cuore carico e angosciato”. Ma anche un argomento di estrema delicatezza. La stessa che il Pontefice usa quando gli viene chiesto se è d’accordo con i raid aerei statunitensi tesi ad arrestare l’avanzata dei jihadisti dell’Isis.
“In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito ‘fermare’ l’aggressore ingiusto”, ha replicato il Papa. “Sottolineo il verbo ‘fermare’, non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo”, ha poi precisato. Una precisazione che ha voluto aggiungere forte delle esperienze storiche, anche recenti. “Dobbiamo avere memoria – la sua riflessione -, quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto la vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto”.
Si parla poi della possibilità di un suo viaggio in Iraq, dove attualmente si trova il suo inviato, il card. Fernando Filoni. Una possibilità valutata approfonditamente in Santa Sede, tanto da far concludere che “se fosse stato necessario, dopo il ritorno dalla Corea, potevo andare lì, era una delle possibilità”, ha spiegato il Papa. Il quale ha affermato: “Sono disponibile! In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo”.
Aggressioni, guerre e popoli sofferenti sono realtà che interessano un altro territorio del Medio Oriente, la Striscia di Gaza. C’è, tra i giornalisti, chi prova ad affermare al Papa che la preghiera in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen non sia servita. “Assolutamente non è stata un fallimento”, risponde il Pontefice, poiché senza preghiera non c’è negoziato né dialogo. “Credo – ha inoltre aggiunto – che la porta sia stata aperta”. Anche se “adesso il fumo delle bombe, delle guerre” non la lasciano vedere.
Un popolo che la guerra l’ha subita sulla propria pelle, portandone ancora le cicatrici, è quello coreano. L’abbraccio con le donne superstiti della deportazione in Giappone nella Seconda Guerra Mondiale è stato, per papa Francesco, un modo per penetrare nel dolore dell’intero popolo della Corea. Una riflessione, quella sull’incontro con queste donne, che porta il Pontefice a dire: “Dobbiamo fermarci a pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati”.
Livello di crudeltà che si esplica anche con la tortura, definita da Francesco “un peccato contro l’umanità, un delitto”. Ai cattolici in particolare rivolge il seguente monito: “Torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave!”. E ribadisce: “Ma è di più: è un peccato contro l’umanità”.
Da temi tristi a quelli che aprono uno spiraglio di speranza per il futuro dell’umanità, come l’apertura di un proficuo canale di dialogo con Paesi che attualmente non hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede. La Cina, per esempio. Il cui popolo il Papa lo definisce “nobile” e “saggio”. Un popolo che il Vescovo di Roma spera di incontrare al più presto direttamente in Cina. Una speranza che custodisce nel cuore. “Noi rispettiamo il popolo cinese – spiega -. La Chiesa chiede soltanto la libertà per il suo ministero, per il suo lavoro. Nessun’altra condizione”. Ricordando poi la lettera che nel 2007 inviò Benedetto XVI ai cinesi il Papa ha dunque ricordato che “la Santa Sede è sempre aperta ai contatti, sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese”.
Il riferimento al Papa emerito sollecita ai giornalisti una domanda sul rapporto che lo lega al suo predecessore. “Ci vediamo – risponde Francesco -. Prima di partire sono andato a trovarlo. Due settimane prima mi ha inviato uno scritto interessante, mi chiedeva un’opinione. Abbiamo un rapporto normale”. La figura del Papa emerito – aggiunge il Santo Padre – “forse non piace a qualche teologo”. Ma la pensa diversamente. “ Io penso che il Papa emerito sia già una istituzione, perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca…”, afferma il Pontefice.
Un’ipotesi, quella della rinuncia al soglio pontificio, che potrebbe riguardare anche Francesco? “E se io non me la sentissi di andare avanti?”, si chiede. “Farei lo stesso”, è la risposta. “Pregherò – aggiunge -, ma credo che farei lo stesso. Siamo fratelli, e ho già detto che è come avere il nonno a casa, per la sua saggezza. È un uomo di saggezza. Mi fa bene sentirlo. E lui mi incoraggia abbastanza”.
Un accenno anche alla prossima Enciclica, infine. Il Papa ha spiegato che prima del viaggio il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace che lo sta aiutando nel lavoro, gli ha consegnato una prima bozza con i contributi raccolti. “Si tratta di un problema non facile – ha spiegato Francesco – perché sulla custodia del Creato, anche l’ecologia – c’è una ecologia umana – si può parlare con una certa sicurezza solo fino a un certo punto. Poi vengono le ipotesi scientifiche, alcune abbastanza sicure, altre no”.