Ieri pomeriggio, al termine della seconda giornata del suo viaggio in Corea del Sud, Papa Francesco ha deciso di fermarsi con i gesuiti della Sogang University di Seoul. Lo ha fatto a sorpresa, comunicandolo alla comunità solamente 24 ore prima.
A raccontare i dettagli dell’incontro è padre Antonio Spadaro, gesuita direttore de “La Civiltà Cattolica”, il quale, sul suo blog Cyberteologia, riferisce che il Papa è entrato ed è stato accolto da un grande applauso. Tutti si sono presentati uno per uno alla fine, ma all’inizio anche per tipologia di attività: i giovani in formazione, quindi, i novizi, e poi coloro che si occupano dell’apostolato spirituale, dell’apostolato giovanile, dell’apostolato sociale. E’ stata veramente una grande festa.
Il Papa – dice Spadaro che ha registrato le parole del Pontefice con il suo iPhone – ha goduto molto di questo clima e poi, dopo alcune, poche, parole introduttive di saluto, ha parlato a braccio, pronunciando “un discorso semplice e potente, tutto incentrato su una parola, consolazione, che per noi Gesuiti è una parola fondamentale: la consolazione spirituale.”
Essa è “la presenza di Dio in qualunque sua modalità”, ha detto il Papa ai confratelli, ricordando come Sant’Ignazio cercava sempre di “confermare la decisione della riforma di vita o della elezione di stato di vita attraverso il secondo modo di ‘elezione’: la consolazione”.
“Consolazione è una parola bella per chi la riceve”, ha osservato Bergoglio. Tuttavia “è difficile dare consolazione”. “E’ un lavoro proprio di Dio quello di consolare, consolare il suo popolo. Quando uno vive un limite doloroso, se lo sa fare con amore, diventa un seme di consolazione per questa persona”.
“Il popolo di Dio necessita consolazione, di essere consolato, il consuelo“, ha proseguito il Santo Padre. E ha ribadito la ormai celebre definizione della Chiesa attuale come “un ospedale da campo” che raccoglie “tante, tante ferite che hanno bisogno di consolazione…”.
“Non ci sono ferite che non possono essere consolate dall’amore di Dio”, ha affermato quindi Papa Francesco, esortando i gesuiti a vivere “cercando Gesù Cristo in modo da portare questo amore a consolare le ferite, a curare le ferite”.
Proprio come fa Dio con noi. In particolare la parabola del Figliol prodigo – che alcuni giovani hanno inscenato durante l’incontro di ieri pomeriggio nel Santuario di Solmoe – “rappresenta bene qual è l’atteggiamento di Dio davanti alle nostre ferite”, ha sottolineato il Pontefice: “Dio consola sempre, spera sempre, dimentica sempre, perdona sempre”.
Non dimentichiamo inoltre che nella Chiesa di oggi sono presenti numerose ferite, ha evidenziato il Santo Padre. Ferite “che molte volte provochiamo noi stessi, cattolici praticanti e ministri della Chiesa”. Allora l’invito è chiaro: “Non castigate più il popolo di Dio! Consolate il popolo di Dio!”.
“Tante volte – ha concluso il Papa – il nostro atteggiamento clericale cagiona il clericalismo che fa tanto danno alla Chiesa. Essere sacerdote non dà lo status di chierici di stato, ma di pastore. Per favore, siate pastori e non chierici di stato. E quando siete nel confessionale ricordatevi che Dio non si stanca mai di perdonare. Siate misericordiosi!”.