Pubblichiamo oggi la seconda ed ultima parte dell’intervista di Johannes Habsburg con padre Carlos Moia, direttore del Centro de Comunicaciones Luján, in Argentina. La prima parte è stata pubblicata ieri, martedì 5 febbraio.
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In Argentina si parla di un proselitismo da parte delle sètte a volte aggressivo ed apertamente anti-cattolico. In che modo la Chiesa affronta questa situazione e che ruolo può giocare la radio per contrastare questo attacco alla Chiesa?
Padre Carlos Moia: Per quanto riguardo il tema dei nuovi gruppi religiosi, in Argentina è stata fatta tanta strada. Penso che sia importante utilizzare questo linguaggio: “nuovi gruppi religiosi”, perché se si appone loro l’etichetta di sètta, molta gente che si trova in questi nuovi gruppi e che è passata dalle comunità parrocchiali, si sente ferita e questo rompe ogni possibilità di dialogo. Non tutti coloro che approdano ai nuovi gruppi religiosi lo fanno perché non vogliono bene alla Chiesa. Molti ci vanno per la mancanza di cura pastorale da parte della Chiesa nei quartieri poveri. È una sfida: come risponde la Chiesa in America Latina al mondo dei poveri? Quelli che entrano di più nei nuovi gruppi religiosi, infatti, sono proprio i poveri.
La radio può dunque creare quel senso di comunità, di famiglia, che non si percepisce a volte nelle parrocchie a causa della mancanza di sacerdoti?
Padre Carlos Moia: Può aiutare, ma non lo crea, perché non credo nella ‘Chiesa elettronica’. Nella sua storia, la Chiesa ha vissuto esperienze in cui il sacerdote è necessario, ma non indispensabile. Le comunità cattoliche in Cina dopo la partenza dei gesuiti sono sopravvissute durante secoli grazie all’animazione dei capi laici che hanno continuato, impartendo il sacramento del battesimo, la catechesi, la fede, e, anche se mancava qualcosa di essenziale – l’Eucaristia – non hanno perso la fede. In America Latina dobbiamo raccogliere la sfida di non vincolare la Chiesa alla presenza di sacerdoti. Sì, sono necessari, sono importanti, celebrano l’Eucaristia, che è essenziale, ma anche i laici devono assumere la loro posizione di leadership nel popolo di Dio. C’è carenza di sacerdoti e non siamo riusciti a creare dei capi laici che accompagnino il popolo di Dio. La Chiesa ha una vocazione alla quale non può rinunciare: predicare il Vangelo e battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò non è vincolato all’ordine sacerdotale, ma è una vocazione proveniente dal battesimo universale dei fedeli, come sottolinea il Concilio Vaticano II.
Il documento di Aparecida parla dei “nuovi volti di poveri”, dei “nuovi esclusi” in America Latina, cioè i migranti, le vittime della violenza, gli sfollati e i rifugiati, le vittime della tratta di esseri umani e dei rapimenti, i desaparecidos, i malati di HIV e di patologie endemiche. Il linguaggio è forte e duro. Come affronta la Chiesa questa realtà schiacciante?
Padre Carlos Moia: Sono le piaghe di Cristo presenti nel nostro popolo. La Chiesa non è la grande assistente sociale, ma deve avere un cuore sensibile a queste realtà e dare risposte. Qui si nota la vitalità della Chiesa. A volte non si nota nelle strutture, ma si deve vedere in un cuore aperto e grande sensibilità. Ci sono esperienze positive, come nella valle di Humahuaca, dove ci sono progetti sociali per l’integrazione degli aborigeni o tutto il lavoro delle cooperative o l’esperienza nelle Villas de Emergencia (baraccopoli, ndr) o nella lotta contro la droga, accompagnando i giovani per farli uscire da questo dramma che causa molte conseguenze. Mi pare che i membri della Chiesa debbano avere un cuore di madri, per abbracciare chi è in uno stato di bisogno e si trova in questa situazione. In questo modo si farà un piccolo passo in avanti, che non sarà la soluzione definitiva, ma permetterà di accendere una luce affinché gli altri scoprano che questa è la strada.
Uno dei tipi di sfruttamento che Lei ha segnalato è l’attività mineraria a cielo aperto. In che cosa consiste questo abuso?
Padre Carlos Moia: Le colline sono fatte saltare e questo comporta un grande inquinamento ambientale, specialmente dell’acqua dei fiumi della zona a causa dell’uso di diversi elementi, come il cianuro per separare l’oro. È il caso di Catamarca, dove trasferiscono materiale roccioso con acqua per 500 chilometri in condotti. Hanno lasciato gli abitanti di quella zona, senza fiumi, contaminando inoltre l’acqua con cianuro. Dietro ci sono molti interessi.
Quali conseguenze ha tutto questo sulla gente che vive in quella zona?
Padre Carlos Moia: La fame, l’impoverimento, tutto diventa molto più difficile. Poiché grazie a questi fiumi potevano irrigare per i loro raccolti. Questo è andato perso… ma comunque ci sono grandi campagne mediatiche che mettono in mostra uomini d’affari e minatori sorridenti. La Chiesa, tramite la Commissione Pastorale Sociale della Patagonia, ha manifestato preoccupazione e allarme per il silenzio di fronte all’attività mineraria a cielo aperto.
Uno dei problemi gravi della nostra Argentina è la criminalizzazione del povero. La grande ingiustizia di oggi è che le opportunità che si hanno nella vita, dipendono dalla condizione in cui si nasce. La buona notizia che la Chiesa deve proclamare è che ogni uomo è mio fratello, indipendentemente da dove è nato. Chi vive nella periferia nord di Buenos Aires – è molto difficile comprendere questa realtà per chi sta altrove – si veste diversamente, non indossa scarpe di marca, non è bianco. È più facile comprare armi per la polizia che dare al proprio fratello gli strumenti per uscire dalla sua situazione marginale. Chiedete al Signore della storia che ci aiuti a scoprire che ogni uomo è mio fratello, che è figlio di Dio, e che tutti insieme possiamo essere una comunità che dà speranza per un mondo nuovo, dà la speranza del regno di Dio.
L’intervista è stata realizzata da Johannes Habsburg per il programma settimanale Donde Dios Llora (Dove Dio piange), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre. Per informazioni:
info@DondeDiosLlora.org / www.acn-intl.org