L'Inchinata alla Vergine e al Santissimo Salvatore

All’Assunta, i fedeli di molti paesi in provincia di Roma rinnovano da secoli il loro omaggio alla Madre e al Figlio nel segno del Padre

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La sera del 14 agosto, vigilia dell’Assunta, in piazza Trento, a Tivoli, di fronte ad una folla strabocchevole di fedeli ed alla presenza del vescovo tiburtino e delle autorità cittadine, le sacre Immagini della Madonna della Grazie e del Santissimo Salvatore, sorrette dai portatori delle confraternite, vengono inchinate ognuna in direzione dell’altra e, quindi, entrambe portate nella navata centrale dell’antistante chiesa di Santa Maria Maggiore perché “possano parlarsi”, chiarisce il culto popolare.

Nel 2012 il vescovo tiburtino, monsignor Mauro Parmeggiani affermò che “è il quarto anno che partecipo a questo rito che dà inizio alla Solennità dell’Assunzione al Cielo di Maria in anima e corpo. Rito, durante il quale l’Icona del Santissimo Salvatore, dopo aver attraversato la città, esser passata in mezzo a tutte le realtà che segnano il nostro esistere quotidiano, quasi a dirci ancora una volta che Dio, in Gesù, è entrato nella nostra storia per assumerla tutta in sé, incontra l’Icona di Maria Santissima, immagine dell’umanità che già anticipatamente è stata preservata dal peccato e dalla morte, immagine di tutti i figli di Dio che, battezzati, sono stati lavati dal peccato originale per essere tutti destinati ad entrare con Cristo nella gloria di Dio realizzando così quel desiderio che Cristo ha espresso al Padre nel Vangelo appena ascoltato: Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io!”.

“Dopo quattro anni – continuò il pastore tiburtino – vi confesso che ogni volta mi stupisco e commuovo nel vedere tanta gente e mi domando perché tanta partecipazione? Per rimanere fedeli a una tradizione? Forse, ma non credo che sia soltanto questo il motivo. E se anche lo fosse, vorrei, questa sera, provare a dirvi io il perché siete qui. Provare, in poche parole, a dirvi perché ogni anno siete qui in tanti per vedere riprodotta plasticamente la scena in cui il Risorto viene ad assumere la Madre Sua nella gloria in anima e corpo introducendola, anticipo di quanto è assicurato che accadrà anche a tutti noi, nella Gerusalemme del Cielo, in quel Paradiso che è la comunione Trinitaria nella quale tutti siamo chiamati ad entrare perché da Dio veniamo e a Dio ritorniamo, quella Gerusalemme del Cielo dove la morte e la sofferenza non esistono e che nel rito dell’Inchinata sono simboleggiate dalla chiesa nella quale, tra poco, entreranno insieme le due immagini per farci capire cosa vogliano dire le parole di Gesù: Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io!”.

La mattina successiva, quella del 15 agosto, le due venerate Immagini nella medesima piazza compiono di nuovo l’inchino, dopodiché la Madonna delle Grazie rientra in chiesa, mentre il Santissimo Salvatore ritorna in processione solenne, composta dall’università delle arti e dei mestieri e dalle confraternite cittadine, nella basilica di San Lorenzo, cattedra del vescovo tiburtino.

L’Inchinata di Tivoli è quella più suggestiva, ma nel resto del territorio laziale, a sud-est di Roma, riti simili coinvolgono parecchie comunità di fedeli ognuna con una sua particolarità. A Cave, in provincia di Roma, la sera del 14 agosto una grande icona bifronte, da un lato la Vergine e dall’altro il Redentore, viene portata in processione per le strade del centro storico ed ogni fedele che l’incontra vi passa sotto, scorrendo tra i portatori. Sui Monti Prenestini, a Guadagnolo, il centro abitato più alto del Lazio, a 1218 metri sul livello del mare e famoso per il vicinissimo santuario della Mentorella, la domenica successiva all’Assunta, quest’anno il 17 agosto, l’incontro tra la Vergine ed il Santissimo Salvatore avviene al bivio dell’Omo Morto, a metà strada tra la Mentorella da dove è uscita la Madonna e la chiesa di San Giacomo nell’abitato guadagnolese, che tutto l’anno custodisce il Figlio. Alle due venerate statue i portatori fanno fare tre inchini di corsa, a distanza sempre più breve, l’una di fronte l’altra, dopodiché entrambe raggiungono in solenne processione, inerpicandosi per un’erta salita, la piazza antistante alla chiesa di San Giacomo per ripetere il rito nuovamente. Sulla sommità di Monte Guadagnolo si erge un’alta statua bronzea del Redentore, lì messa negli anni Settanta in sostituzione di un’altra marmorea eretta nel 1903 ed abbattuta nel 1955 da un fulmine. La testa marmorea del Redentore ora è custodita nella chiesa di San Giacomo a Guadagnolo. Un’altra inchinata da menzionare è quella di Rocca Santo Stefano, paesino tra i Monti Prenestini ed il sublacense. Qui il rito dell’Inchinata della sera del 14 agosto è quello che compie il ministrante pubblicamente nei confronti della Vergine e del Santissimo Salvatore.

Secondo qualche cultore di storia minore, l’origine del rito dell’Inchinata andrebbe rintracciata in Umbria dove qualcosa di simile veniva definita Rinchinata. La sua diffusione sarebbe legata all’espandersi del movimento francescano. Di sicuro, le sue radici affondano nei secoli. La figurazione bizantineggiante di molte delle icone portate in processione fa pensare a prima dell’anno Mille, periodo in cui la cultura era influenzata da Costantinopoli. Mentre la ritualità riecheggia una sorta di sacra rappresentazione altomedievale, quando le figure sacre avevano una loro drammaticità, nel senso di personalità viva.

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Paolo Schiavella

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