«Forse un aspetto primario del peccato originale è proprio il femminicidio, questo istinto dell’uomo di accusare sempre la donna dei propri errori fino a condannarla: “la donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato il frutto proibito” (Gen 3,12)». Sono coraggiose queste parole di Mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, proprio come è coraggioso il libro che presenta: Caro Francesco. Venticinque donne scrivono al Papa, per i tipi di “Il pozzo di Giacobbe”.
L’idea del libro nasce sul terreno fecondo del dialogo che papa Francesco ha instaurato sin dall’inizio del suo pontificato virtualmente con tutti. In questo contento, donne di diverse e varie estrazioni sociali, religiose (o a-religiose), ideologiche e “politiche” si rivolgono a papa Bergoglio in semplicità e serietà per dire la loro nella Chiesa, nei confronti della Chiesa e in rapporto alla Chiesa. Ne risulta un volume ricco nella sua varietà, evocativo nella sua acutezza e provocativo nella sua sincerità.
Più che riassumere il contenuto del libro – impossibile nello spazio di una presentazione breve – mi piace soffermarmi su uno degli interventi che esprime lo stile e l’intenzionalità che il volume vorrebbe instaurare. Si tratta della “lettera” di Rosa Siciliano, membro attivo di Pax Christi col titolo «Informazione» che sottolinea essenzialmente tre dimensioni fondamentali e complementari del rapporto informativo/comunicativo: l’ascolto, la parola e l’incontro.
La Siciliano sottolinea che papa Francesco è un «uomo in ascolto» e ciò è evidente dalla sua empatia verso l’uomo di oggi, verso le sue attese e le sue chiusure. È un uomo che ascolta e visita le «periferie esistenziali» dove purtroppo vivono tante donne.
La seconda dimensione che viene sottolineata è la parola che è un termine essenziale per chi vuol tessere un rapporto comunicativo. Di essa Siciliano scrive: «Ridare la parola è anche restituire a ciascuno la possibilità di accedere alle chiavi interpretative dei mutamenti sociali che ci inglobano, che ci investono. È restituire la consapevolezza che la capacità di sognare, quella no, non ce la può togliere proprio nessuno».
La terza dimensione coessenziale all’informazione/comunicazione è l’incontro, dove l’educazione, le relazioni sociali e tutto ciò che costituisce la trama della nostra dimensione sociale viene innervato dall’autentico desiderio di essere-con e far-essere. È far spazio ai sogni di chi ancora osa sognare: che le polis diventino «luogo di condivisione».
Il libro esprime sogni, utopie, ma già la loro espressione è dare luogo e spazio a ciò che è “senza-luogo”. È un grande passo.