Una coppia australiana, non riuscendo ad avere figli, chiede ad una donna thailandese di 21 anni, Pattharamon Janbua, di “affittarle” il suo utero su pagamento al fine di far nascere il bimbo che era stato concepito attraverso fecondazione in vitro.
La donna, la cui famiglia è in serie difficoltà economiche, accetta di prestare il suo utero allo scopo.
Tre mesi dopo che il medico ha iniettato l’ovulo fecondato della donna australiana nel suo utero, la madre surrogata scopre però di aspettare due gemelli.
I medici, durante i controlli di routine, si accorgono successivamente che uno dei due bambini che la donna thailandese ha in grembo ha la sindrome di Down.
Alla notizia che uno dei piccoli sarebbe stato portatore di trisomia 21, la coppia australiana ne richiede l’aborto.
Pattharamon, profondamente buddhista, rifiuta di abortire per motivi religiosi e porta a termine la gravidanza.
Ma dopo che i gemelli vengono alla luce all’ospedale di Bangkok, la coppia committente porta con sé la bimba sana in Australia ed abbandona invece il piccolo Gammy, nato con sindrome di Down.
Gammy, che ora ha sei mesi, ha una seria patologia cardiaca congenita e dovrà affrontare, per salvarsi, una serie di interventi urgenti e cure mediche costose che Pattharamon, la madre surrogata, non può permettersi.
Pattharamon Janbua ha dichiarato al quotidiano Sydney Morning Herald:
“Vorrei dire alle donne thailandesi di non entrare in questo business come madri surrogate.
Non basta pensare solo ai soldi, se qualcosa va storto nessuno ci aiuterà ed il bambino sarà abbandonato dalla società. Allora dobbiamo assumerci la responsabilità per questo fatto”.
Un medico dell’ospedale dove il piccolo Gammy è nato, e che ha seguito la vicenda, ha quindi aperto una sottoscrizione online sul sito Gofundme (per chi volesse partecipare questo è il link).
Viene lanciata così una campagna di raccolta fondi per pagare le spese mediche intitolata Hope for Gammy, che viene subito inondata da donazioni da tutto il mondo.
Abbiamo chiesto l’opinione su questa vicenda a Jean-Marie Le Méné, Presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, organizzazione benefica la cui missione è quella di continuare il lavoro del professor Jérôme Lejeune (scopritore della causa della sindrome di Down) nel campo della ricerca scientifica, della cura e della difesa della vita, che così ha commentato:
“Questo caso era prevedibile per due ragioni:
– in primo luogo, le gravidanze gemellari sono molto più frequenti nei casi di procreazione assistita. Dunque questo genere di situazioni rischia di essere frequente. Si incontreranno così delle coppie che, anche senza che uno dei loro gemelli sia malato, rifiuteranno di avere due figli semplicemente perché ne avevano “ordinato” solo uno;
– in secondo luogo, la madre surrogata non è sempre disposta ad abortire, soprattutto nel caso di una gravidanza gemellare, in cui ciò risulta più complicato.
In sintesi, forse la nascita di questo bambino trisomico che suscita uno slancio di generosità nel mondo intero, ci salverà dalla legalizzazione della maternità surrogata.”