"Che Dio ci aiuti a non soccombere davanti allo sguardo dei nostri cari perduti"

Monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale della diocesi di Bologna, commemora le vittime della strage del 2 agosto 1980

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Riportiamo di seguito l’omelia di monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale della Diocesi di Bologna, pronunciata stamattina durante la Santa Messa di suffragio per le vittime della strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

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In questo giorno la nostra città vuole ricordare i suoi figli e i passeggeri in transito che persero la vita a motivo delle stragi dell’Italicus 40 anni fa (morirono in 12), del Rapido 904 30 anni fa (morirono in 16), e della Stazione esattamente 34 anni fa (morirono in 85).

I numeri non rendono ragione dei volti, dei nomi, delle personalità di ciascuno di loro; e neppure della rete di relazioni in cui ciascuno di loro era inserito, e che risultò orrendamente lacerata; e i numeri non rendono ragione dello strascico di dolore e di paura che provocarono quei fatti nei tanti che ne furono coinvolti.

Per questo siamo qui davanti al Signore che ci conosce invece tutti per nome, ciascuno con la sua esistenza unica e irripetibile, ciascuno con la sua storia, la sua famiglia, la sua pena e la sua domanda.

Noi siamo troppo piccoli per comprendere e per portare il peso di questa eredità così pesante di lutti e di orrori, e conosciamo la tentazione dell’oblio o della banalizzazione o della strumentalizzazione che annebbia i contorni dei fatti e il profilo degli uomini e delle donne e tutto riduce a fenomeno generico e impersonale.

La fede è un grande antidoto a questo pericolo, perché ci pone in relazione con colui che non dimentica, non nasconde il volto, vede tutto, chiede conto; a colui che vede l’affanno e il dolore, li esamina e li tiene nelle sue mani come abbiamo proclamato nel Salmo 10.

Questo non toglie nulla alle tremende responsabilità di chi sparge terrore e morte; ma gli toglie la pretesa di aver detto l’ultima parola, di aver posto un atto irrevocabile e definitivo.

La triste condizione di anonimato dei colpevoli e dei mandanti non è in alcun modo la vittoria della loro furbizia ma piuttosto la loro sconfitta: essi hanno deciso di rendersi invisibili e insignificanti dietro il danno incalcolabile che hanno provocato. Ma il volto, il nome, la personalità a tutti ben nota e riconoscibile di chi ci ha rimesso la vita, esalta il bene inestimabile della loro esistenza, perpetua il ricordo di quello che sono stati e che continuano ad essere nel cuore di Dio e nell’affetto dei loro cari, nell’affetto sincero di questa città che tutti li sente intimamente suoi.

Cent’anni fa scoppiava la Prima guerra mondiale, che il Papa bolognese Benedetto XV stigmatizzò con l’epiteto di “inutile strage”. Settant’anni fa sulle pendici del Monte Sole avvenne l’eccidio indiscriminato della popolazione. Il secolo che sta alle nostre spalle rischia di essere ricordato come una catena ininterrotta di stragi. Quella che potrebbe diventare una triste rievocazione di un passato di orrori, facciamo in modo che diventi sempre più celebrazione della vita di questi nostri amici morti prematuramente per mano fratricida, celebrazione degli affetti che neppure la morte può spezzare, celebrazione della fraternità che unisce anche gli estranei nel momento del bisogno. Anche se non abbiamo il potere di evitare tutti i guai, abbiamo però quello di limitare l’espansione del danno e di far sì che anche il male più orrendo possa venire riscattato da una misura ancora più grande di amore.

Ogni Celebrazione della Messa ci riporta al momento drammatico e sublime della Santa Cena, l’ultima che Gesù pienamente consapevole del suo destino imminente, condivise con i suoi ignari e distratti discepoli. Lui stava per essere tradito da uno di loro, rinnegato da un altro e abbandonato dai restanti. Loro discutevano già su chi – più forte e più grande – avrebbe comandato tra loro.  Lui stava per farsi servo di tutti con il dono della sua stessa vita, e loro ambivano solo a fasi servire dagli altri. Anche i migliori come risultano meschini al confronto con Gesù. Eppure da questi uomini così fragili e inaffidabili Lui è riuscito a far i suoi apostoli e i suoi testimoni, e rinnovati dal suo amore ne ha fatto i giudici del mondo.

Davanti alla potenza trasformante di Cristo poniamo umilmente noi stessi, affidiamo le sorti del nostro paese e quelle del mondo intero, la causa della pace tanto più impellente, quanto più assistiamo ad una avvilente rassegnazione alla ineluttabilità della guerra. E affidiamo la vita preziosa dei nostri cari, privati ingiustamente di un futuro su questa terra: sono nelle mani di Dio, sorgeranno a giudicare questa generazione e a chiedere conto di che cosa abbiamo fatto del loro sacrificio. Che Dio ci aiuti a non soccombere davanti al loro sguardo e a poter presentare progetti e opere di giustizia e di pace a nostra giustificazione.

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ZENIT Staff

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