Suscita dibattito la sentenza della Cassazione che sancisce che lo Stato non riconosce la nullità del matrimonio della Sacra Rota laddove vi sia stata tra i coniugi una convivenza di almeno tre anni.
A intervenire è anche Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, il quale non nasconde la propria perplessità attraverso le pagine di Avvenire. “Le sentenze ecclesiastiche – spiega – vengono sottoposte a vincoli ben più restrittivi di quelli che l’ordinamento italiano ha per qualsiasi altra sentenza straniera. E, ciò che è più grave, non si tiene conto della specificità dell’ordinamento canonico”.
Una sentenza che, secondo Mirabelli, assume anche un valore culturale. “Lo spirito del diritto canonico è l’effettivo accertamento della capacità e della volontà genuina delle parti di sposarsi – afferma -. Il matrimonio nasce e ha alla sua base il consenso: nel profilo canonistico prevale la verità delle cose. In quello statualistico, invece, trionfa la socialità, quello che accade, il fatto che si determina”.
Ora la Cassazione – prosegue il presidente emerito – “ci sta dicendo che anche se esiste quel vizio di volontà, ciò che rende valido un matrimonio è l’essere vissuti come coniugi per un certo arco di tempo (e per la precisione 3 anni). La convivenza tra coniugi diventa un valore irrinunciabile legittimando quello che potremmo chiamare un ‘matrimonio di fatto’ e ha tale grado di rilievo e tutela da impedire addirittura che si accerti e dichiari la mancanza di capacità e volontà al momento delle nozze, cioè l’atto consensuale”.
Problemi scaturiti – a parere del costituzionalista – “da una mancanza dello Stato”. Secondo Mirabelli si sarebbe dovuta attuare “da molto tempo” una legge matrimoniale “attuativa dell’accordo di revisione del Concordato del 1929, che lo Stato unilateralemente avrebbe potuto porre in essere disciplinando puntualmente la procedura e gli effetti patrimoniali della nullità del matrimonio”.