Le casse del Fondo Famiglia Lavoro sono vuote, nonostante la grande prova di generosità dei milanesi. Gli oltre 5 milioni di euro raccolti dal gennaio 2013 sono stati tutti ridistribuiti a chi aveva bisogno di aiuto. Ma la crisi non è finita e le richieste di aiuto sono in aumento. Per questa ragione la Diocesi di Milano ha deciso di rilanciare chiedendo a tutti di collaborare per continuare a sostenere chi perde il lavoro.

È partita una campagna di comunicazione, donata al Fondo Famiglia Lavoro, che si articola in due fasi. La prima è iniziata oggi: 100 poster 6 metri per 3 sono stati affissi a Milano e nell’hinterland; altri 110 maxi cartelli campeggiano lungo le principali strade statali e provinciali che attraversano il territorio della Diocesi. Poi, da settembre altre iniziative, tra le quali anche una mobilitazione capillare delle parrocchie.

L’head line della campagna recita “Un buon investimento ha un nome e una faccia. Milano investe su chi ha perso il lavoro”. L’assunto della campagna è che “solo insieme si esce dalla crisi”, scommettendo proprio sulla voglia di riscatto di “chi ha perso il lavoro ma non ha perso il desiderio di fare”.

Il Fondo Famiglia Lavoro fa la sua parte avviando queste persone alla formazione. È questo il “buon investimento” che la Diocesi ambrosiana suggerisce, realizzando la dimensione non solo assistenziale impressa al Fondo dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola.

Il Fondo ha conosciuto due fasi. Nei tre anni della prima fase (23 gennaio 2009 - 31 dicembre 2011) ha raccolto 14 milioni di euro e aiutato 9mila famiglie. Nella seconda fase (gennaio 2013- luglio 2014) ha raccolto oltre 5 milioni di euro, aiutando fino ad oggi 2mila famiglie. A queste risorse vanno poi aggiunte quelle raccolte dai Fondi locali, complessivamente circa un milione e 200 mila euro per altre mille famiglie aiutate.

Le donazioni sono arrivare soprattutto da privati (32%). Seguono la Fondazione Cariplo (19%), la Diocesi di Milano con i fondi dell’8 per mille (19%) enti e società (16,5%). Il resto viene da altri donatori: offerte personali dei cardinali Scola e Tettamanzi e da altre fondazioni. I singoli cittadini che hanno donato sono stati oltre 2000 con un contributo medio pro-capite di circa 600 euro.

Se da un lato la prodigalità dei milanesi non è venuta meno, dall’altro sono continuate a giungere anche le richieste di aiuto. In media sono state circa 170 le domande pervenute al Fondo ogni mese. Il che ha portato il Fondo ad esaurire in poco più di un anno e mezzo le risorse raccolte. Da qui l’appello della Diocesi a continuare a sostenere questa iniziativa come un investimento per la comunità nel suo insieme.

Un approccio, dunque, non più solo assistenziale, come chiesto dall’arcivescovo Scola. Mentre nella prima fase, il Fondo ha soprattutto ridistribuito le risorse raccolte attraverso aiuti in denaro diretti; nella seconda fase oltre ad offrire assistenza economica per le necessità quotidiane (pagamento delle bollette, delle rate del mutuo, etc), il Fondo Famiglia Lavoro ha aiutato le famiglie indirizzando le persone alla formazione professionale e coprendo le spese per i corsi, erogando micro-crediti, seguendo lo sviluppo di progetti imprenditoriali.

Dal gennaio scorso, 2.147 persone sono rimaste senza impiego e sono dovute ricorrere alle casse del Fondo Famiglia Lavoro. Per oltre tre quarti (78,4%) erano maschi e in gran parte nel pieno dell’età lavorativa. I quarantenni, infatti, rappresentano da soli oltre il 40% di chi ha chiesto aiuto. Ad essere più colpita è dunque proprio l’età di mezzo, quella in cui è più difficile ricollocarsi e dove in genere si deve far fronte alle spese maggiori, perché nel frattempo la famiglia si è allargata e sono emerse nuove esigenze. E non è un caso che a soffrire sono proprio le famiglia più numerose. Chi ha utilizzato il Fondo ha oltre due figli, una media un po’ più alta di quella che si riscontra fra la popolazione italiana.

Altro dato significativo è che la nazionalità non appare più una discriminante. La crisi è ormai trasversale alle provenienze geografiche. Benché, infatti, la maggioranza degli utenti del Fondo (61,6%) sia composta da stranieri; gli italiani detengono una quota molto significativa (38,4%).

Ad essere in difficoltà sono in genere persone che hanno lasciato presto la scuola. Il 55% è giunta fino alla licenza media, il 25,7% sino al diploma. C’è chi ha una qualifica professionale (8,9%), o una laurea (5,6%): si tratta, in questo caso, per lo più di stranieri che non riescono a farsi riconoscere il titolo in Italia. Il resto o non ha nessun titolo di studio o non lo ha specificato.

Le professioni più aggredite sono quelle di operaio (77,2%), seguono a grande distanza gli addetti alle attività di assistenza e vendita di beni e servizi - commesse, colf, camerieri - (8,3%), gli impiegati (4,4%) e gli artigiani (4%). Infine vengono i titolari di impresa (2,1%) e i consulenti, quadri, liberi professionisti (1,5%). I settori più in sofferenza sono quello metalmeccanico, dell’edilizia e dei servizi a basso valore aggiunto. Gli operatori raccontano che ai tornitori, muratori, camerieri, portieri di albergo si sono affiancati, seppure in percentuali ancora ben più modeste, architetti, grafici pubblicitari, consulenti informatici: il popolo delle partite Iva, che si è ritrovato improvvisamente senza più committenti.

Una situazione difficile di cui non si vede ancora un termine mentre nuove vittime si aggiungono: quasi il 70% degli utenti del Fondo ha perso il lavoro negli ultimi 12 mesi, segno che la crisi non è ancora passata. Nel frattempo, sette lunghi anni di scarsità di lavoro, hanno eroso anche i risparmi. La maggioranza delle persone che ha approfittato del Fondo ha sulle spalle debiti (68%), la maggior parte maturati per la casa. Senza impiego né reddito, anche i risparmi sono finiti, e ora non si riescono più a pagare affitti e mutui.

Altre informazioni sul sito: www.fondofamiglialavoro.it