Prima della benedizione finale il vescovo di Tivoli, monsignor Mauro Parmeggiani, che mercoledì 9 luglio ha presieduto la solenne messa della vigilia della ricorrenza di Santa Anatolia nel piccolo santuario di Gerano a lei dedicato, assistito dal parroco, don Giovanni Censi, ha spronato i numerosi fedeli e le autorità presenti a porre attenzione al “martirio quotidiano”, nel senso di “essere fedeli al Signore nelle piccole cose della vita”.
In questo riprendendo quel concetto che aveva già espresso nell’omelia, quando ha mostrato ai fedeli l’esempio della Santa Martire romana del III secolo dopo Cristo. “Il martirio – ha evidenziato monsignor Permeggiani – è la forma più alta per seguire Gesù. È dare gratuitamente quello che Gesù ci ha dato: la vita”.
Né da considerare meno, per il vescovo tiburtino, sono “altre forme di martirio. Ci sono persone che la domenica per andare alla messa rischiano la vita” ed il pensiero di monsignor Parmeggiani è andato ai cristiani che vivono in Nigeria, in Siria, in Iraq.
“Non sono questi campioni della fede?”. Per questo nelle preghiere dei fedeli è stato invocato “O Dio dei martiri, ascoltaci” ed il vescovo tiburtino ha definito “martirio quotidiano” quello che si scorge nei piccoli avvenimenti della vita quando al cristiano è chiesto di seguire il Vangelo, nella riconciliazione con l’altro, sicché “chiediamo di saper perdonare”.
L’esempio di Santa Anatolia ha una tradizione antichissima che nel santuario di Gerano, nella valle dello Giovenzano, rio affluente dell’Aniene che scorre tra i Monti Prenestini ed il Sublacense, si attesta al VI secolo d.C., quando a margine di una spianata fu edificata la chiesetta in suo onore, sui resti di tombe monumentali romane.
Nel 932 l’abate Leone III di Subiaco ritrova a Tora nel carseolano, poco dopo Tivoli, i resti del corpo della Santa e li porta nei monasteri sublacensi. “Nella sosta delle reliquie presso la chiesa dedicata a S.Anatolia a Gerano – scrive don Giovanni Censi in un volumetto del 1993 – la vergine e martire compie molti e strepitosi miracoli”.
Alcune reliquie della Santa sono conservate in un reliquiario nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Gerano e la vigilia della festa vengono portate in processione nel piccolo santuario fuori il centro abitato, dove la messa a cui assistono moltissimi fedeli ed i sindaci dei comuni della Valle dello Giovenzano è presieduta dal vescovo di Tivoli o, sovente, dall’abate di Subiaco, nei cui monasteri si conserva il cranio ed altri resti della giovane martire romana, il cui culto è diffuso su un vasto territorio del Lazio sud-orientale.
La Passio attesta che Anatolia e Vittoria sotto l’imperatore Decio (249 – 251 d.C.) si siano rifiutate di sposare due patrizi romani, perché consacratesi a Dio, e per questo rinchiuse in due località della Sabina. Incaricato di uccidere Anatolia fu il soldato Audace che introdusse un serpente nella stanza nella quale era stata rinchiusa. L’indomani, invece, il rettile che non aveva morso la giovane si avventò su Audace. Il soldato fu salvato da Anatolia e per questo si convertì al cristianesimo. Anatolia e Audace, quindi, caddero martiri sotto i colpi di spada dei loro aguzzini.
“Questa sera con Anatolia chiediamo il perdono”, ha sintetizzato monsignor Parmeggiani che nella santa vergine romana ha delineato, oltre al martirio, altri due elementi da portare ad esempio: la giovinezza e la misericordia. “Noi crediamo che i giovani non siano in grado di fare slanci, mentre sono capaci di farne e distinguere la purezza”, ha ammonito il vescovo tiburtino, che ha ribadito ai presenti: “a noi tocca educarli. Dobbiamo educarli a saper scegliere. Diamo loro responsabilità e risponderanno a Dio ed agli uomini. Anatolia ci insegna che la giovinezza non è un peccato, ma una risorsa”.
Per il secondo aspetto Anatolia “ha avuto misericordia. Il vero cristiano perdona anche a chi gli fa del male. Anatolia ha persino salvato il suo carceriere. Le persone fanno fatica a perdonare. Dobbiamo saper perdonare”. E qui il vescovo di Tivoli ha richiamato papa Francesco secondo il quale due coniugi possono anche tirarsi i piatti, ma la sera sono riconciliati.
La ricorrenza di Santa Anatolia è una “festa di popolo” ha riconosciuto monsignor Parmeggiani, nella quale, tuttavia, occorre sempre tener presente il contenuto di spiritualità, pur non penalizzando l’aspetto più profano mostrato dalla fiera dei giorni di festa.
A livello popolare la Fiera di Santa Anatolia ha una vasta risonanza e viene definita anche la Fiera degli zingari, perché nella passata cultura contadina era una delle poche occasioni di una grande compravendita di animali da soma e da trasporto per una vasta area del territorio laziale.
Questo favoriva la presenza di molti nomadi che commerciavano in bestiame e da qui la denominazione popolare di Fiera degli zingari, molti dei quali, tuttora, ne fanno un proprio punto di riferimento ed Anatolia è ritenuta propria Santa Protettrice.