«Una grande aderenza alla vita, filtrata attraverso una serie di meditazioni, amalgamate fra loro, sulla cultura, sulla poesia, sulla politica, sulla religione. Versi ricchi di colori, di gusto, di adesione a ciò che è bello e simpatico nell’esistenza…».
Maria Luisa Spaziani, la celebre poetessa torinese scomparsa il 30 giugno scorso, aveva descritto così l’origine dei suoi versi nel corso di un intervento presso la “Cattedra di Poesia” da lei fondata nel 1987 a Roma: una originale iniziativa che richiedeva al poeta-critico (nel senso baudelairiano di “speculare a se stesso”) di esprimere la propria personale poetica, autoanalizzandosi ai limiti del possibile. Un’iniziativa alla quale aderirono in molti: dagli italiani Zanzotto, Bassani, Loi, Magrelli, Erba, ai grandi poeti internazionali: Yves Bonnefoy, Kikuo Takano, Allen Mandelbaum, Enis Batur.
Tutto era iniziato con una lettera. Giovane autrice esordiente, aveva spedito a Mondadori una sua raccolta di poesie, ottenendo un contratto editoriale. Il suo primo libro, “Le acque del sabato”, fu pubblicato nel 1954. «Ero femmina, giovane e inedita: tre elementi che non facevano pensare bene sulla fortuna del libro», ricordava la Spaziani. E invece a quel libro ne seguirono molti altri – tra i più recenti, possiamo citare: “I fasti dell’ortica” (1996), “La traversata dell’oasi” (2001), “La luna è già alta” (2006) – dando vita ad un brillante percorso letterario lungo più di mezzo secolo.
Figura chiave della letteratura italiana contemporanea, Maria Luisa Spaziani è stata autrice di racconti, testi teatrali e lavori critici, ma la sua notorietà è legata soprattutto alla poesia. Notevole anche il suo impegno in qualità di promotrice culturale, la cui punta di diamante fu il “Centro Montale” (il centro studi fondato in onore del poeta Premio Nobel, suo vero nume tutelare), con il quale organizzò il Premio letterario omonimo, per lunghi anni vetrina privilegiata delle voci emergenti del panorama poetico.
Sul finire degli anni ’90, il “Centro Montale” entrò in crisi, a causa di un «incidente di percorso – scrisse la Spaziani – che non varrebbe nemmeno la pena ricordare se non fosse per le manifestazioni di solidarietà che ci sono pervenute da tutto il mondo della cultura».
Un “incidente di percorso” – vorremmo aggiungere – che costituiva già allora il sintomo evidente di una deriva culturale che avrebbe portato il Paese alla drammatica situazione attuale.
Le manifestazioni di solidarietà furono, in effetti, assai intense e portarono alla costituzione di un gruppo di estimatori ed amici (dei quali mi trovai a far parte) intenzionati a sostenere l’impegno di Maria Luisa. Insieme demmo vita, nel 2005, alla “Universitas Montaliana di Poesia” e quindi alla rassegna letteraria “Inediti in Biblioteca” che si tenne per sei anni presso la Camera dei Deputati.
«Contrarietà e vicissitudini – concluse la Spaziani – non sono riusciti a spezzare la nostra determinazione di promuovere l’interesse per la poesia. Perché nessun ostacolo può inibire la vita del pensiero quando questa è sostenuta da una forte volontà e da una comunanza d’intenti e di respiro etico».
La “vita del pensiero”: era soprattutto questa la forza di Maria Luisa Spaziani, che la poneva agli antipodi del diffuso stereotipo che vede nel poeta una personalità fragile, poco attrezzata alle sfide dell’esistenza. Lei di sfide ne aveva combattute e vinte molte, a partire dalla prima giovinezza, quando un improvviso tracollo economico del padre, agiato industriale torinese, l’aveva messa di fronte alle necessità della vita.
Era il suo modo di essere: gentilissima, elegante, determinata e volitiva. Una protagonista della società letteraria, che intrattenne relazioni di amicizia e di stima con i più grandi artisti e intellettuali del suo tempo: Pasolini, Zavoli, Fellini, Fracci, Nievo, Levi Montalcini…
Della grande scienziata ricordo, in particolare, un appassionante intervento alla nostra rassegna presso la Camera dei Deputati. Correva l’anno 2007 e la senatrice Rita Levi Montalcini, di concerto con la Spaziani, parlò dell’esperienza poetica come esperienza del profondo, nelle sue connessioni con il funzionamento del cervello.
Il destino poetico di Maria Luisa Spaziani è ora consegnato alla storia della cultura, per la sua appartenenza a una stagione creativa che ha caratterizzato il secondo ‘900, nonché alla critica letteraria, che ha già sancito la sua grandezza con la pubblicazione delle sue opere nella prestigiosa collana editoriale “I Meridiani”.
Per quanto mi riguarda, mi piace ricordarla con due poesie che esprimono bene il suo modo di sentire e di scrivere.
I primi versi sono tratti da un’antologia intitolata “Libertà, identità, schiavitù” che curai nel 2004, nel quadro delle celebrazioni per la Giornata Mondiale UNESCO del Libro e del Diritto d’Autore. Versi dedicati alla “nigeriana Amina condannata alla lapidazione per essere stata madre”. Versi che riportano alla vicenda drammatica e attuale della sudanese Meriam, accusata di apostasia per la sua fedeltà alla religione cristiana:
«Perché nessuna donna è stata Mozart / né Shakespeare, Dante, Newton, Galileo? / Difficile provarci non sapendo / cos’è un violino, un alfabeto, un numero. / Lui fa le leggi, sempre a suo favore / insabbia Amina e la massacra a pietre. / Feconda e fugge poi, di volta in volta, / né guarda in faccia la nidiata».
Nella sua ultima intervista, rilasciata alla giornalista e poeta Bianca Maria Simeoni (pubblicata sul quotidiano “Il Tempo” del 2 luglio 2014), la Spaziani affermava: «L’amore, la religione, la poesia sono le tre cose che non moriranno mai».
Mi sembra di avvertire l’eco di queste parole nei versi di una bellissima poesia inedita che Maria Luisa mi fece leggere in anteprima una decina d’anni fa:
«Io sono figlia dell’Oceano, nata / sulla sponda di un mare troppo piccolo. / La grazia arriva a lampi, e in quei momenti / tutto il linguaggio esplode. / La grazia è un vasto Oceano, è mia madre. / Ma sono nata su piccola sponda».