Il lavoro sugli arrangiamenti e, soprattutto, la cura della struttura dei testi, rappresentano il frutto di uno studio sperimentale e appassionato che lo anima fin da bambino. I primi passi li ha mossi insieme alle prime note, che le sue dita, a quattro anni, hanno incontrato, suonando il pianoforte.
Un legame speciale quello tra Roberto Cohiba e la sua terra, la Sicilia, uniti ad una ricerca spirituale molto profonda che lo ha portato a dedicare in ogni suo concerto Grazie Signore, il brano di chiusura, a chi soffre e a chi non c’è: non è solo un ringraziamento, è un momento in cui Cohiba non smette di riflettere sul bene che agisce ed opera nella sua vita. Un legame speciale quello tra l’artista siculo e la Madonna, patrona di Enna, Maria Santissima della Visitazione, che l’artista non dimentica.
Roberto Cohiba deve il suo successo a livello nazionale alla passione che lo segue fin da bambino: dopo aver studiato pianoforte per 20 anni (dall’età di quattro anni) e aver accantonato poi la carriera artistica da adolescente per cercare di diventare avvocato, in virtù del proprio destino, abbandona l’università (a meno di 4 esami dalla laurea in giurisprudenza) e partecipa ad un concorso nazionale a Torino, con Mogol presidente di giuria. La conseguente vittoria gli ha fatto credere ancora una volta nel suo grande sogno: cantare. Così, vinta la borsa di studio ed entrato nell’accademia di Mogol, Cohiba diviene docente presso l’accademia e ne esce per continuare a seguire il suo sogno come artista, non senza aver prima conseguito i tre titoli: paroliere, cantautore e musicista.
Dopo due anni di lavoro intenso e dopo aver girato in lungo e largo per cercare la mongolfiera, ha girato il video che ha fatto da cornice all’interno album, Un mondo imperfetto, con le riprese dal cesto di vimini della mongolfiera, a 1500 metri d’altezza. Eppure da questa prospettiva di sollevarsi gettando e liberandosi dalle zavorre e dai pesi della vita, la musica è riuscita a farlo andare in alto, e a raggiungere i cuori dei suoi concittadini e dei giovani che hanno affollato la piazza nelle due ore di performance di sabato scorso a Enna, e di brani inediti, presenti anche su Youtube con più di 14.537 visualizzazioni, da quando è stato proposto nei primi mesi del 2014.
La mongolfiera, come ama affermare lo stesso Cohiba, è un progetto visionario che diviene l’immagine dell’album, la copertina e la struttura profonda del pensiero del trentacinquenne artista ennese. “Un mondo imperfetto, voglio di più di un sogno nel cassetto – racconta Cohiba a ZENIT -. La mongolfiera è quell’elemento simbolico che, mentre lasci andare giù i tuoi pesi, ti solleva con un’energia silenziosa e pulita, che può essere quella della coscienza, un liberarsi dai propri spettri. Io mi sono liberato della paura di non farcela, del giro di boa, adesso sono pronto per volare in alto”.
Con la musica come sentimento che rigenera e che emoziona, Cohiba – che trae il suo cognome d’arte dal miglior sigaro cubano – ha deciso di suonare solo due brani al pianoforte (suo strumento) ed ha preferito riempire la scena con la sua voce, iniziando e concludendo il suo viaggio musicale con dei brani molto significativi per la sua spiritualità: il primo dedicato alla Madonna e l’ultimo un ringraziamento a Dio, Grazie Signore. Una personalità complessa, un grande talento unito ad una grande fede e ad un’umiltà profonda.
In due ore di concerto in Piazza Duomo, Cohiba è riuscito a stupire e intrattenere coreograficamente il suo pubblico, con la presenza scenica, la capacità di affabulare, la profondità del testo, l’originalità degli arrangiamenti e la dolcezza e l’armonia della voce. Uno spaccato originale e sentito della vita di un giovane ennese che crede e ha un sogno: quello di fare della musica un messaggio che arrivi al maggior numero di cuori.
Ha affermato lo stesso Cohiba: “Il mio sogno è cominciato da piccolo, la mia prima chitarra, la batteria, il mio primo complesso. Mi affascinava la canzone e il suo poter arrivare dritta dritta al cuore. Ho cominciato ad esplorare la struttura del testo, come deve essere un ritornello e come deve funzionare. Ho cominciato a scrivere canzoni da ragazzo, poi, nel 2009, il concorso a Torino. Il presidente di giuria era Mogol che decretò la mia vittoria, quindi entrai nella sua accademia, il CET (Centro Europeo Toscolano). Il mio primo cd è Il mondo imperfetto: ho sempre preferito scrivere per me, e soprattutto del mio modo di vedere le cose, su quello che mi succede. La scelta di questo titolo riguarda proprio il fatto che la perfezione non è di questo mondo”.
“Siamo tutti alla ricerca di una perfezione – prosegue l’artista – pur vivendo in un mondo dove la perfezione non c’è. Questa ricerca porta l’uomo a compiere viaggi incredibili. L’arte è la scintilla che fa migliorare l’uomo, anche se io ho rinunciato a laurearmi in giurisprudenza, anche se forse ho deluso mio padre, che credeva in una sicurezza, e mia madre, che invece che mi ha sempre sostenuto nella realizzazione artistica e personale: per loro ho scritto una canzone, Parlami, che riprende un po’ il sogno di ogni genitore e quello dei figli che vogliono seguire i loro sogni e dare qualche soddisfazione anche alla famiglia. Credo che sia fondamentale avere alle spalle una famiglia che crede in te. Io voglio fare canzoni e il mio sogno più grande è raggiungere il maggior numero di cuori. Lo scopo della musica è migliorare la condizione umana ma in ogni caso deve lasciare un segno che può e deve far riflettere. Questo mio cd è uno spaccato della mia vita”.
“Credo che la musica abbia anche il compito di far riflettere – ha raccontato Cohiba -. Quando ero in accademia ho dedicato una canzone a Marco Simoncelli, il pilota di motociclismo morto a causa di un incidente: le parole erano di una giornalista della Gazzetta dello Sport, io ho curato gli arrangiamenti. Il brano è stato giudicato molto commovente. Di certo la musica deve suscitare emozioni, deve toccare l’anima”.
“Amo scrivere le mie canzoni, perché mi rappresentano, questa è la magia della musica. Credo di non riuscire a dire quale sia la canzone del mio repertorio che preferisco, ma in realtà è come se fossero momenti della mia vita ugualmente importanti e stupendi. Credo si possa vivere per la musica, mentre vivere di musica è un impegno maggiore che di certo implica il fatto che una passione debba diventare un lavoro serio. In periodi di crisi come questo non mi sento di affermare che la carriera artistica sia meno rischiosa di quella di un’altra professione”.