Mario Palmaro è andato in Cielo il 9 marzo, festa liturgica di san Domenico Savio, il ragazzo santo allievo di don Bosco, una figura un po’ dimenticata, un piccolo eroe che visse con intensità, amore e passione la sua fede fino a giungere alle vette della santità, che a sette anni aveva fissato per sè quattro propositi: “Mi confesserò e comunicherò sovente;voglio santificare le feste; i miei amici saranno Gesù e Maria; la morte ma non peccati”.  

Un programma di vita che magari a qualcuno potrebbe sembrare oggi inattuale, ma che è stato il programma anche di Mario Palmaro, cristiano forse inattuale, ma appassionato testimone della Fede. E come Domenico Savio è il protettore delle gestanti, delle mamme in dolce attesa, così il professor Palmaro ha speso tante energie nei suoi 45 anni per difendere la vita indifesa, per tutelare la vita umana minacciata dall’aborto e in seguito dall’eutanasia. Mario si era laureato in Giurisprudenza alla Statale di Milano nel 1995 con una tesi sull’aborto procurato.

Proprio così: niente eufemismi, niente giri di parole, niente “interruzione di gravidanza”, un’espressione che a Mario era sempre sembrata surreale e ipocrita. Lui, filosofo del diritto, si perfezionò in bioetica, e cominciò fin dalla fine degli anni ’90 a distinguersi come uno dei più brillanti studiosi della materia. Il suo primo volume, Ma questo è un uomo. Indagine storica, politica, etica, giuridica sul concepito, rimane uno dei testi più limpidi sulla problematica etica e giuridica riguardante l’aborto.

Mario Palmaro non fu mai un intellettuale da cattedra o scrivania: la sua passione per la difesa della vita umana ne fece un autentico militante, dapprima nel Movimento per la Vita, e in seguito in altre realtà come l’Associazione Giuristi per la Vita e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani, per finire con il Comitato Verità e Vita, di cui era stato tra i fondatori e che ha presieduto fino alla morte.

Verità e vita erano davvero per Mario le due direttive del suo impegno, sia che si trovasse a parlarne agli studenti del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum o dell’Università Europea di Roma, sia che ne trattasse nei suoi numerosissimi articoli, sia nelle conferenze che teneva ovunque lo chiamassero, dagli ambienti accademici più prestigiosi fino all’ultima sala parrocchiale di provincia.

Mario era instancabile: si prodigava in mille impegni, riuscendo chissà come a trovare il tempo per scrivere numerosi libri, dapprima da solo, poi con l’inseparabile Sandro Gnocchi, e senza mai trascurare la famiglia: l’adorata moglie Anna Maria e i quattro bambini.

Tra i diversi, preziosi ricordi che restano di Mario non c’è solo la sua fede salda e robusta anche nei momenti più difficili, quando la malattia lo aveva dolorosamente artigliato, la sua fede lucida e capace di penetrare acutamente i problemi della Chiesa di oggi, che vive in un mondo che non smette di perseguitare i cristiani come ha fatto per duemila anni, magari con mezzi più infidi e subdoli; c’è anche il suo umorismo, la sua bonomia che potrebbe sembrare strana a chi ha visto in Mario solo un rigido difensore della fede.

Mario è stato un grande apologeta, ma non ha mai perso, in tutte le sue battaglie, la capacità di sorridere. Lo aveva imparato da uno dei suoi maestri, da uno dei suoi autori preferiti, sul quale ha scritto pagine impareggiabili: Giovannino Guareschi. Da Guareschi, Palmaro, insieme al sodale Gnocchi, imparò a vivere a testa alta, ad amare la verità senza compromessi, ma anche a saper vivere coltivando la virtù del buon umore, che non è un’allegria sciocca, superficiale, ma la gioia intima e inattaccabile che viene dalla consapevolezza che Dio ci ama e ci ha salvati, ci ha redenti con la sua croce, morte e gloriosa Resurrezione.

Questa era la granitica certezza che animava Mario Palmaro, e che lo rendeva forte e, allo stesso tempo, amabile. La certezza da cui partiva per andare in esplorazione dei territori della narrativa. Gli esordi pubblicistici, oltre ai saggi di bioetica, si erano infatti rivolti alla letteratura: Guareschi, ma anche Pinocchio, Sherlock Holmes, Chesterton…

Oggi si parlerebbe di “periferie culturali”, ma per Mario erano i territori della narrazione, della fiaba, del mistero, ove andare a rintracciare insieme a Sandro i segni della presenza di Dio. Un Dio non semplicemente da cercare, un po’ a tentoni e nella vaghezza degli spiritualismi, ma un Dio da trovare, e quindi da annunciare.

Da qui la sua vocazione all’apologetica, manifestata negli articoli e nel lavoro redazionale per un mensile di cui fu colonna portante come Il Timone.  Un’apologetica che si è espressa nei numerosi testi pubblicati negli ultimi anni, come Io speriamo che resto cattolico. Nuovo manuale di sopravvivenza contro il laicismo moderno, La messa non è finita, Il pianeta delle scimmie. Manuale di sopravvivenza in un mondo che ha rifiutato Dio, La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi, perché si risveglierà, fino all’ultima opera, una sorta di sintesi del pensiero e delle battaglie di tutti questi anni: Ci salveranno le vecchie zie. Una certa idea della Tradizione.

Un’analisi severa delle condizioni di salute del Cattolicesimo attuale, condita però dall’immancabile umorismo e dalla virtù della speranza.  Mario, con il sopraggiungere della fine, era preoccupato per i suoi figli. Preoccupato per il loro futuro, per le difficoltà che la famiglia potrà incontrare senza di lui, ma soprattutto era preoccupato del mondo e della Chiesa nella quale i suoi figli cresceranno.

La preoccupazione che è espressa anche nella Sacra Scrittura: quando il Figlio di Dio farà ritorno, troverà ancora Fede sulla terra? Questi ragazzi vivranno in una società che si propone di sconvolgere l’ordine naturale, che lo sta già facendo in modo apparentemente inesorabile.

Sarà possibile opporvisi? Sarà possibile vivere nella verità, senza menzogna? Questa era la preoccupazione di Mario Palmaro, e il compito, l’eredità che lascia ai suoi amici, ai suoi estimatori, ai suoi lettori, è di fare di tutto, come lui ha fatto il possibile, perché le porte degli inferi non prevalgano.