Tra le ardue sfide a cui dovrà far fronte il nuovo sistema internazionale vi è sicuramente quella della sicurezza alimentare e dei fenomeni da essa derivanti quali il land grabbing. Il termine - letteralmente "accaparramento della terra" - evidenzia in modo efficace l'efferatezza di un fenomeno che va espandendosi nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, raggiungendo picchi esponenziali in particolare all'indomani della crisi alimentare mondiale del biennio 2007/2008.

La corsa alla terra è consequenziale ad una sequela di fattori rintracciabili tanto nella poderosa crescita demografica che sta interessando il pianeta, quanto nel cambiamento in corso dei paradigmi geopolitici che hanno già prodotto la formazione di nuovi poli di potenza da cui è emerso lo sviluppo di una nuova classe media con abitudini alimentari in evoluzione.

In particolare, Stati come Cina e India, interessati da questi stravolgimenti, unitamente ad Arabia Saudita, Qatar e Bahrein, risultano tra i maggiori acquirenti di territori dei Paesi Africani.

A questa serie di elementi vi è da aggiungere l'annosa questione della finanziarizzazione delle commodities agricole, fattore trainante della crisi alimentare, che ha affinato l'abilità – per non dire l'incoscienza – dei traders di trasformare, per la prima volta nella storia, le merci in patrimoni finanziari.

Tale fatidico intreccio del capitale speculativo e produttivo, infatti, non solo non ha rafforzato il sistema alimentare globale ma, viceversa, ha prodotto un drastico indebolimento e, conseguentemente, un'eccessiva volatilità dei prezzi dei beni da cui è scaturita la crisi.

La continua crescita del costo dei beni di prima necessità ha così incentivato ricche imprese, governi, società finanziarie, grandi banche, fondi di investimento e multinazionali ad investire sulle terre del terzo mondo, sperando in un loro continuo apprezzamento.

Infine, ma non per ordine di importanza, vi è il business concernente la produzione di biocarburanti legato, in particolare, alla nuova politica energetica intrapresa da USA e UE che attraverso gli incentivi statali spingono le imprese verso una frenetica corsa alla terra nei paesi in via di sviluppo, causando la marginalizzazione dei piccoli produttori.

Tale fenomeno, che sta  maggiormente interessando i territori dell'Africa e dell'Asia sud Orientale non sta risparmiando il Sud America, nonostante la stagione di profondo rinnovamento e ritrovata sovranità che sta vivendo il continente.

Qui, il land grabbing presenta caratteristiche e peculiarità proprie legate sopratutto al contesto regionale. Sviluppatosi intorno agli anni '80, a seguito delle imprudenti politiche neo-liberali che hanno indotto gli Stati ad abbandonare le politiche di credito e di assistenza tecnica ai campesinos nonché ad abbattere i dazi doganali sulle importazioni di cibo, il fenomeno ha marginalizzato l'economia contadina determinando benefici esclusivamente per le grandi companies del settore agricolo, le uniche ad avere accesso garantito agli investimenti e alle necessarie conoscenze tecniche.

Ovviamente, questo repentino capovolgimento della situazione oltre a creare una crisi sociale che per parecchi anni ha interessato i Paesi della regione, ha totalmente modificato la struttura agraria facendola divenire ad esclusivo appannaggio del grande capitale.

Il tutto a scapito delle comunità rurali che da proprietari sono stati degradati in lavoratori temporanei senza stabilità e con salari estremamente ridotti.

Tale cambiamento ha avuto ripercussioni ed effetti negativi anche sugli equilibri ecologici ambientali dal momento che per privilegiare le grandi coltivazioni di monocolture come la soia, non è stata risparmiata né la foresta amazzonica che in ragione di tale scelte sta subendo forti ondate di desertificazione, né le altre colture tradizionalmente presenti in quei territori.

Fra i paesi sudamericani, l'Argentina è senz'altro quello che maggiormente ha subito una repentina e radicale trasformazione agricola col passaggio dalle fattorie a gestione familiare a produzione diversificata, alla produzione industriale di monocolture quali la soia geneticamente modificata.

Tale situazione, oltre ad incidere sulla biodiversità, ha provocato anche una diminuzione degli allevamenti comportando, per la prima volta nella storia del Paese, l'importazione del latte dall'Uruguay a prezzi ovviamente molto più alti rispetto a quelli della produzione interna.

Questo stato di cose ha determinato l'aumento della povertà, della malnutrizione e, non ultimo, dei conflitti sociali dovuti al trasferimento delle famiglie contadine nelle periferie ai margini delle città.

Oltre al caso argentino, emblematico è il caso brasiliano dove il fenomeno ha prodotto le medesime conseguenze sociali ed ambientali. Il Paese, che al momento ricopre un ruolo di primissimo piano nello scacchiere internazionale essendo la sesta economia e il secondo produttore agricolo mondiale, presenta una distribuzione di terreni piuttosto iniqua.

Il fenomeno  ha subito una lieve riduzione durante la presidenza Lula in cui si è cercato di controllarlo varando una disciplina ad hoc. Tuttavianon può tacersi che di fatto negli ultimi anni lo Stato brasiliano oltre a subire l'accaparramento delle terre ha iniziato a praticarlo a sua volta sviluppando una propria politica di acquisizione di terreni agricoli al di fuori dei suoi confini nazionali.

Alla luce di quanto descritto, emerge con estrema evidenza come i temi della sovranità e sicurezza alimentare e di tutte le molteplici e variegate questioni ad essi connessi, rappresentino per il continente sudamericano un pericoloso fattore di debolezza che, ove non sanato, potrebbe rivelarsi un letale vulnus nei rapporti intercontinentali al quale si potrebbe porre rimedio attraverso l'adozione di provvedimenti normativi sia a livello nazionale (emblematico il caso dell'Uruguay e Venezuela) che regionale.

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Per approfondimenti: http://www.geopolitica-rivista.org/24977/il-land-grabbing-fattore-di-rischio-per-la-sovranita-sudamericana/

"Il Papa e il filosofo"

Venerdì, alla Radio Vaticana, la presentazione del libro-intervista dell’argentino Alver Metalli al filosofo Alberto Methol Ferrè, amico e mentore spirituale di Bergoglio dagli anni ’70