"Se tu non ci fossi stato, sarei ancora schiavo"

Una riflessione sul ruolo della Chiesa e dei sacerdoti nel liberare le vittime di abusi sessuali “dai legami dell’infermità”. Non solo per dovere morale

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Alcune vittime di abusi sessuali mi hanno scritto nella notte dell’adorazione eucaristica che si è conclusa ieri (sabato 29 marzo 2014 n.d.r.). Mi scrivono, brevi messaggi, e mi dicono che si sono confessate, bisognose di riconciliazione e misericordia, “non è questione di un momento, è un impegno che dura tutta la vita”, come ha detto Papa Francesco. Loro ci credono, più di me.

Hanno pregato e supplicato il Signore della vita e dell’amore, affinchè le ferite subite guariscano e possano ritornare alla vita, non allontanandosi dalla comunione ecclesiale. Alcuni di essi sono state profondamente lacerati – devastati – nell’anima e nel corpo, quando erano bambini, anche da un sacerdote, da un parente prossimo e da vere e proprie organizzazioni pedocriminali. E’ cosa drammatica e seria.

Non è il caso di fare statistiche: chi abusa, in molti casi lo fa con lucida determinazione e sofisticati meccanismi che pervengono a giustificare gli abomini sessuali perpetrati su piccole e inermi creature che soggiogate dal senso di colpa e dall’autorità delle figure parentali – che dovrebbero proteggere e tutelare –  sprofondano in un abisso schiavizzante.

Chi si interfaccia nell’ascolto, nell’accompagnamento, nella cura e premura per alleviare le ferite, conosce le conseguenze e la vita interrotta dopo un abuso. Non dobbiamo mai negare l’ascolto, l’accoglienza e l’accompagnamento.

E’ un dolore e una ferita che apparentemente non si scorge, non è evidente, perché nascosta nella profondità della vita e nel combattimento di sentimenti ed emozioni; un “trauma invisibile” che genera disturbi fisici, spesso permanenti e devastanti per la crescita presente e futura. Un abuso è devastante, dobbiamo sempre sottolinearlo e ribadirlo. Non si dimentica. Pertanto, aiutare, sostenere, denunciare, segnalare, è solo un “dovere morale”?  E’ solo un dovere morale interrompere il “cerchio mortale” che genera ogni atto di abuso?

Non riporto, tutti i versetti del Vangelo, ma sono sempre illuminanti, e non riduciamolo solo ai “piccoli della fede”, ma ai piccoli, i prediletti del Signore, poveri e bambini, schiavi e peccatori: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. (…) Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. (Matteo 18,1-5.10.12-14)

Incontrando tanti padri, madri, e tanti uomini di buona volontà, rimane sempre indelebile una considerazione: “se non avessimo denunciato” così abbiamo salvato sia la vittima che l’autore dell’abominio. Ognuno stia al suo posto e nessuno deve sostituirsi a chi ha autorità e competenze per intervenire. Ma spesso è più la voce della vittima che deve essere ascoltata che i silenzi che coprono gli abomini.

Ci basterebbe leggere i Salmi (3,10,12,21, 30). Chi è preposto a “vigilare e guidare” deve sempre, con priorità, ascoltare e accogliere anche  una semplice richiesta di aiuto. Chi grida “Signore, vieni presto in mio aiuto” perché un “branco di cani mi circonda”; chi bisbiglia ed emette una invocazione anche se impercettibile di dolore e di tenebra – commessa da chi ha scelto la disumanità e un “malato affetto/amore” deve essere accolto, ascoltato, accompagnato, sostenuto e non deve essere lasciato solo. Chi viene a confidarci “liberami dalla mano dei nemici” la conseguenza è attuare percorsi di liberazione e di guarigione.

La pedofilia e gli abusi sui minori non sono faccenda secondaria. Non è meno della mafia, della criminalità organizzata o di altre forme di ingiustizia sociale. La pedofilia non è da trattare come un “insegnamento filosofico o culturale”, la pedofilia non è “buona” (come tanti vogliono sostenere). La pedofilia è abuso ed essendo una grave violazione dei diritti inviolabili e della dignità dei bambini, prediletti del Signore, è da condannare; e le vittime devono essere protette e sostenute, non a parole ma con i fatti e nella verità. La Società come la Chiesa (un cammino è stato intrapreso) devono fare la loro utile e impegnativa azione.

Non è sempre così, ma dobbiamo adoperarci affinchè “sia così”: una prassi che si consolidi e diventi permanente, un “porto sicuro” in un mare in tempesta. Noi ci sentiamo obbligati. Quello che dico alla fine vale per tutti – uomini e donne – prima ancora dei ruoli o delle funzioni o ministeri che abbiamo, in tanti, ricevuto: “Se tu non ci fossi stato, sarei ancora schiavo”, “se tu non ci fossi stato, sarei ancora un carnefice”, “se tu non ci fossi stato, sarei ancora nelle mani del male”.

Dobbiamo esserci, per i piccoli e i deboli, per gli schiavi e gli abusati dell’umanità. Dobbiamo solo esserci con responsabilità e senza giustificare il male. Credo che non giovi a nessuno. Una confidenza personale: ho scommesso la vita su questo esserci per loro, e non indietreggerò di un passo, costi quel che costi, con tutte le conseguenze di ogni intelligente, prudente, saggia, determinata azione a difesa dei prediletti del Signore: i piccoli e i deboli. A chi compie queste esecrabili azioni: pentitevi, cambiate strada, non consegnatevi all’oblio di una fuga accomodante, ma rivestitevi di cenere e copritevi di sacco” (si legga anche Giacomo 3,2-5).

Il Signore guarì “una donna curva a causa di una infermità” e che satana aveva tenuta legata da 18 anni. E domanda ai suoi interlocutori: non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato? (cfr. Luca 13,10-17). Potessimo anche noi dire e operare come Gesù, anche in giorno di sabato: donna “sei libera dalla tua infermità!”. Chi vuol comprendere, comprenda. Preti o non preti. Vale la vita anche di un solo bambino, solo di uno. 

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Don Fortunato Di Noto è parroco e fondatore di Meter onlus www.associazionemeter.org

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Fortunato Di Noto

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