"È mezzanotte dottor Schweitzer"

Gilbert Cesbron racconta la vicenda umana e religiosa del teologo protestante, concertista e fondatore di un ospedale nel Congo francese per i malati di lebbra

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Teologo protestante, concertista d’organo e poi chirurgo e fondatore di un ospedale (a Lamberéne, nel Congo francese) cui dedicò tutte le sue forze divenendo, nel mondo, simbolo della generosa dedizione ai malati di lebbra. Fu tutto questo Albert Schweitzer e alla sua passione di uomo non potè rimanere insensibile lo scrittore filosofo francese Gilbert Cesbron, già autore di romanzi notissimi come I santi vanno all’inferno Cani perduti senza collare.

Significamente lo scrittore decise di dedicargli nel 1954 un dramma teatrale in due atti che, nella fermezza di uno stile per natura incline alla poesia, rende ragione del fascino che Schweitzer esercitò nel suo tempo. Il fascino di una vita tesa a un ideale.

È mezzanotte dottor Schweitzer” è un testo agile tanto quanto il tempo dell’azione in esso descritta che si svolge in due notti, nell’agosto del 1914, all’inizio della Grande Guerra. Il drammaturgo francese coglie qui il «personaggio» Schweitzer all’apice della sua vicenda umana.  Questi, giovane teologo, aveva pubblicato nel 1906 un volume dal titolo Storia della ricerca della vita di Gesù in cui giungeva alla conclusione che la figura storica di Cristo era sfuggente a causa della inadeguatezza delle fonti e della sua dimensione trascendente che la rendeva intangibile nel presente.

Decise perciò di imitare Gesù nell’aspetto che maggiormente lo commuoveva: la carità. Nei tre diversi modi in cui essa si declina si rivelano i tre personaggi principali del dramma (il dottore, il costruttore, il missionario) e, più precisamente, nell’amicizia e nella differenza tra il dottor Schweitzer e padre Carlo, emerge il centro il cuore sincero dell’opera, l’insufficienza e l’impotenza ultima dell’agire umano. Se questa costituisce il tragico punto d’arrivo del genio protestante, rappresenta invece per il cristiano l’avvento di Cristo.

Nel punto più basso dell’ inferno dantesco il diavolo piange per la sua impotenza; il cristiano, al contrario, sperimenta in essa la decisività della propria salvezza, non dipendente dalle sue opere ma dalla disponibilità al fatto vivo di Cristo.

Una tale posizione umana fiorisce nella consapevolezza -avvertita da un altro grande francese, Charles Peguy- che la sola dignità di tutto sia nell’essere amati. Papa Francesco ce lo ricorda continuamente già solo a partire dal suo motto, tratto da un ripesa del Venerabile Beda del Vangelo di Matteo: Miserando atque eligendo; (lo) guardò con misericordia e (lo) scelse

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Giovanni Maria Molfetta

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