Un libro politicamente scorrettissimo, ma di grande successo. A poco più di una settimana dalla pubblicazione è già al terzo posto della classifica dei più venduti su Amazon. Scritto da un autore di sinistra, peraltro ex parlamentare, questo singolare pamphlet sta già provocando mal di pancia in più di un salotto radical-chic.
Stiamo parlando di Voglio la mamma. Da sinistra contro i falsi miti del progresso, l’ultimo libro di Mario Adinolfi, che ieri sera ha iniziato il suo tour di presentazioni presso l’Oratorio Piccolo di Santa Maria in Vallicella a Roma.
A fare gli onori di casa, il vicario parrocchiale, padre Maurizio Botta, C.O., ormai popolarissimo tra i giovani cattolici (e non) della Capitale. Con il ciclo dei Cinque Passi, i suoi sermoni del venerdì sera, vere e proprie esplorazioni a tutto campo nel senso profondo della vita umana nel mondo d’oggi, padre Maurizio insiste costantemente sull’assoluta “laicità” dei principi non negoziabili di ratzingeriana memoria.
Se da un lato non è necessario indossare l’abito talare per sostenere razionalmente l’illiceità dell’aborto, dell’eutanasia e del matrimonio omosessuale, per la medesima ragione non dovrebbe esserci nulla di sorprendente che a condividere le medesime posizioni, sia un uomo che viene da una non rinnegata militanza nella sinistra italiana.
Mario Adinolfi ne è convintissimo: il 42enne giornalista, scrittore e blogger, due figlie di 17 e 3 anni, nate da due matrimoni diversi, è stato infatti deputato del Partito Democratico durante la scorsa legislatura (2008-2013). La decisione di non ricandidarsi alle ultime elezioni è stata una scelta assolutamente autonoma e libera, un’occasione per una pausa di riflessione di carattere culturale.
Approfittando di questo ‘momento sabbatico’ Adinolfi ha scritto e dato alle stampe nel giro di poche settimane Voglio la mamma, un breve saggio assolutamente divulgativo ed anti-accademico sui fondamenti della vita umana: nascere, amare, morire.
Come spiegato dallo stesso Adinolfi, bisogna evitare l’errore di trattare tali tematiche ‘a compartimenti stagni’, in quanto c’è un filo rosso che unisce l’argomento della difesa della vita, con quello della difesa della famiglia naturale e della libertà di educazione e per vincere la battaglia su questo fronte, è essenziale recuperare la ragione, imparare a riflettere al di là delle apparenze e delle distorsioni ideologiche.
“Non è una battaglia da bigotti ma un invito a ragionare”, ha sottolineato l’autore, ricordando come l’obiettivo del mainstream sia proprio quello di plasmare un ‘pensiero unico’ artificiale ed omologata in cui il ragionamento viene escluso a priori e viene imposta la “dittatura dei sentimenti”.
Una riflessione scevra da atteggiamenti faziosi e isterismi, ci permette di scoprire la realtà quasi sempre deteriore che si nasconde dietro il volto sorridente del ‘progresso’.
Si scoprirà, ad esempio, che in Belgio almeno la metà dei deceduti per eutanasia, non hanno dato affatto il loro consenso alla ‘dolce morte’, come prevede la normativa locale.
Leggi come quella belga vengono approvate facendo leva su un malinteso concetto di “pietà”, quando in realtà, spesso, dietro frasi come “non è giusto che mio padre soffra”, c’è il desiderio di intascare cospicue eredità. Piuttosto che investire sulle cure palliative, poi, molti sistemi sanitari nazionali, preferiscono lasciar morire i pazienti terminali e risparmiare così sulle spese di cura.
Passando a parlare di aborto, è inquietante pensare, ha osservato Adinolfi, ai 106mila casi annui soltanto in Italia, che sovente avvengono per motivazioni esiziali. Lo scrittore, accennando a un suo amico albino, sottolinea che “quelli come lui ormai vengono tutti abortiti, eppure il mio amico conduce una vita assolutamente normale”.
Un altro caso emblematico è quello di Elton John e del figlio da lui adottato. L’adozione del piccolo Zack è una storia drammatica – quasi un “racconto dell’orrore”, osa Adinolfi – eppure è stata dipinta dai giornali patinati come una vicenda in cui trionfa l’amore.
Il piccolo Zack, ha raccontato Adinolfi, è stato strappato dalle braccia della madre naturale, poche ore dopo la nascita, tra strilli, pianti disperati e il visibile imbarazzo del personale infermieristico.
Nei suoi primi due anni affianco ad Elton John e al compagno di quest’ultimo, Zack non ha fatto altro che continuare a piangere. Perché? Perché voleva la mamma… L’unico contatto che lo sventurato bimbo ha ora con la madre, è il latte materno che quotidianamente gli viene inviato con un jet privato.
“Sono diventato di sinistra perché volevo stare vicino ai più deboli, quindi,
dovendo scegliere tra un omosessuale ricco e un bambino che piange, non ho dubbi da quale parte stare, e non ditemi che la mia è omofobia”, ha detto Adinolfi.
Di qui l’idea di un “libretto rosso” che apra un dibattito anche a sinistra, dove negli ultimi anni le opinioni sui temi della vita, della famiglia e della libertà di educazione, quantomeno a livello di élite, si sono livellate su un ormai omologato ed obsoleto “vietato vietare”.
Ciò avviene, secondo Adinolfi, perché il crollo del comunismo e il venir meno della lotta di classe, ha determinato un vuoto che si è scelto di colmare con nuove tematiche antropologiche, dando così “un’identità a chi aveva perso l’identità”.
Ribaltare questo circolo vizioso, è tuttavia ancora possibile, se si tenta di scardinare le costruzioni ideologiche dei media e dei ‘leader di opinione’ che niente affatto corrispondono al senso comune dell’“uomo che prende il tram tutte le mattine”, indicato da Adinolfi come la metafora della persona che, a prescindere dal livello culturale e dalla posizione occupata nella società, sa usare la ragione ed esercitare la libertà molto più dell’uomo delle élite, arroccato nelle sue false certezze e nei suoi autoreferenziali privilegi.
Di fronte all’arroganza di tutte le nuove forme di potere, ha affermato Adinolfi, la nostra generazione è chiamata a fare come Rosa Parks, l’afroamericana che, nell’Alabama degli anni ’50, ancora impregnata di pregiudizi e di leggi palesemente razziste, si rifiutò di lasciare il sedile del bus riservato ai soli bianchi.
Una disobbedienza civile, dunque, sempre nell’ambito della non-violenza e della razionalità, perché gli altri “non sono cattivi ma soltanto meno informati di noi”, ha concluso Adinolfi.