Dio non si stanca di usare misericordia verso i suoi figli. E Bergoglio non si stanca di ripeterlo ai fedeli. Dopo l’omelia a Santa Marta tutta incentrata sulla bontà di “un Dio che ci ama”, il Pontefice torna a parlare del “ministero della misericordia” nell’udienza di stamane ai partecipanti al Corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica.
Il Pontefice esprime anzitutto il proprio grazie all’antico Dicastero che “da un quarto di secolo”, offre a neo-presbiteri e diaconi “l’opportunità di questo corso, per contribuire alla formazione di buoni confessori, consapevoli dell’importanza di questo ministero”. L’incoraggiamento è a proseguire “tale prezioso servizio” con impegno rinnovato, “facendo tesoro dell’esperienza acquisita e con sapiente creatività”.
In tal senso, sono tre le indicazioni che gli officiali della Penitenzieria devono seguire “per aiutare sempre meglio la Chiesa e i confessori a svolgere il ministero della misericordia”. A partire da un assunto: “Il protagonista del ministero della Riconciliazione è lo Spirito Santo”. “Il perdono che il Sacramento conferisce è la vita nuova trasmessa dal Signore Risorto per mezzo del suo Spirito”, sottolinea infatti il Santo Padre. E ricorda ai presenti la loro chiamata ad essere sempre “uomini dello Spirito Santo”, “testimoni e annunciatori, lieti e forti, della risurrezione del Signore”.
È una testimonianza, questa, che “si legge sul volto” e “si sente nella voce del sacerdote che amministra con fede e con unzione” il Sacramento della Riconciliazione. Un sacerdote non è né “un giudice” né un “semplice amico” in confessionale, precisa Bergoglio, ma accoglie i penitenti “con la carità di Dio, con l’amore di un padre che vede tornare il figlio e gli va incontro, del pastore che ha ritrovato la pecora smarrita”.
Perché quello che si vede negli occhi e traspare dalle parole viene dal cuore di un prete: un cuore – dice Francesco – “che sa commuoversi, non per sentimentalismo o per mera emotività, ma per le ‘viscere di misericordia’ del Signore!”. Le parole del Pontefice ricalcano quindi la tradizione della Chiesa, che indica nel ministero del presbitero “il duplice ruolo di medico e giudice per i confessori”.
In virtù del Magistero ecclesiale, “non dimentichiamo mai” allora che un prete “come medico è chiamato a guarire e come giudice ad assolvere”. E non dimentichiamo neanche che è chiamato a donare generosamente ai fratelli “la grazia battesimale”. “Un sacerdote che non cura questa parte del suo ministero, sia nella quantità di tempo dedicato sia nella qualità spirituale, è come un pastore che non si prende cura delle pecore che si sono smarrite; è come un padre che si dimentica del figlio perduto e tralascia di attenderlo”, ribadisce il Papa.
E sull’agendina dei membri della Penitenzieria aggiunge un ulteriore promemoria: “Non dimenticate che la misericordia è il cuore del Vangelo! È la buona notizia che Dio ci ama, che ama sempre l’uomo peccatore, e con questo amore lo attira a sé e lo invita alla conversione”. Il kerygma deve essere quindi la prima parola sulla bocca di chi amministra questo Sacramento a cui “i fedeli fanno spesso fatica ad accostarsi”, sia “per ragioni pratiche”, che “per la naturale difficoltà di confessare ad un altro uomo i propri peccati”.
In tal senso, raccomanda il Santo Padre, “occorre lavorare molto su noi stessi, sulla nostra umanità, per non essere mai di ostacolo ma sempre favorire l’avvicinarsi alla misericordia e al perdono”. Tante volte capita infatti “che una persona viene e dice: ‘Ma, non mi confesso da tanti anni, ma ho avuto questo problema, ho lasciato la confessione perché ho trovato un sacerdote e mi ha detto questo’”.
In questi casi, aggiunge a braccio Bergoglio, “si vede l’imprudenza, la mancanza di amore pastorale in quello che racconta la persona”. Il rischio è che i fedeli “si allontanano per una cattiva esperienza nella confessione”; quando invece, se c’è un “atteggiamento di padre, che viene dalla bontà di Dio”, situazioni del genere difficilmente si ripetono.
Attenzione, però, a saper trovare la giusta via di mezzo, avverte il Papa: appunto perché il prete non è né giudice né amico del cuore, “bisogna guardarsi dai due estremi opposti: il rigorismo e il lassismo”. “Nessuno dei due fa bene, perché in realtà non si fanno carico della persona del penitente”.
Se qualcuno ancora non l’avesse capito, il giusto compromesso è solo uno: la misericordia, in virtù della quale il presbitero confessore “ascolta veramente con il cuore di Dio e vuole accompagnare l’anima nel cammino della riconciliazione”. Quindi, Bergoglio pronuncia il suo ‘aforisma del giorno’: “La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!”.
Nonostante tutte le difficoltà storiche e spirituali, questo Sacramento – prosegue – è un “dono immenso” che il Signore ha voluto fare alla sua Chiesa, “offrendo ai battezzati la sicurezza del perdono del Padre”. Per questo “è molto importante che, in tutte le diocesi e nelle comunità parrocchiali, si curi particolarmente la celebrazione di questo Sacramento di perdono e di salvezza”. Ed “è bene che in ogni parrocchia i fedeli sappiano quando possono trovare i sacerdoti disponibili”. Perché, conclude il Pontefice, “quando c’è la fedeltà, i frutti si vedono!”.
E per avvalorare le sue parole, il primo ad entrare in confessionale, oggi pomeriggio, sarà proprio lui, Francesco, in Basilica Vaticana. L’occasione sarà la celebrazione penitenziale che darà il via alle “24 ore per il Signore”, organizzate dal Dicastero per la Nuova Evangelizzazione per la Quaresima. Durante questo evento – che coinvolgerà diverse parrocchie di Roma – alcuni fedeli avranno il privilegio di ricevere il perdono di Dio direttamente dal Successore di Pietro. E, sicuramente, non potranno dire di non aver ricevuto misericordia…