Il Papa e il Presidente: due cammini che si incontrano

Anche Barack Obama viene dalle periferie geografiche ed esistenziali cui si rivolge Bergoglio

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Giovanni XXIII, recandosi in pellegrinaggio ad Assisi, disse ai suoi accompagnatori che quando due uomini si incontrano non importa da dove vengono, ma dove vanno. Questo principio può adattarsi perfettamente al colloquio di oggi tra il Papa ed Obama.

Il Presidente degli Stati Uniti è nato dal matrimonio tra una americana di origine europea, dedita alla causa della giustizia sociale – che negli Stati Uniti si esprime soprattutto nella giustizia razziale, a quell’epoca ancora negata  anche dal punto di vista giuridico – ed un immigrato africano.

Il successivo matrimonio della madre fece si che egli crescesse in Indonesia, Paese musulmano, e fu precisamente l’Islam la religione in cui venne dapprima educato, finché l’affidamento ai nonni ed il rimpatrio negli Stati Uniti lo radicassero nella fede cristiana, cui tuttora appartiene.

Se però si può considerare sincretistica una formazione intellettuale e spirituale, tale fu quella del futuro Presidente. In Indonesia, infatti, frequentò le elementari presso le suore cattoliche, le quali – come ogni congregazione dedita all’insegnamento “in partibus infidelium” si astennero dal praticare qualsiasi forma di proselitismo nei suoi confronti.

Nelle suore egli poté vedere però un esempio di tolleranza e di rispetto per le convinzioni altrui, unita con la dedizione al prossimo motivata dalla loro fede.

Il rispetto e l’esempio: due fattori importanti per il carattere di una persona, e per il suo futuro, prefigurazione di una società ideale, dove tutti gli uomini di buona volontà prestano la loro opera per edificare la giustizia.

Quando il giovane Obama, brillante laureato ad Harvard – Università fondata da un pastore protestante e sorta da una Facoltà di Teologia ma anche luogo di discussione e di incontro tra sedi diverse – intraprese la carriera di avvocato e volle farlo mettendosi al servizio degli ultimi.

Pur potendo accedere agli studi legali più prestigiosi, si dedicò ad assistere i diseredati di quella parte meridionale di Chicago che nel suo Paese è sinonimo di povertà e di degrado. E lo fece – pur essendo evangelico – presso i servizi sociali di una parrocchia cattolica. Erano gli anni del grande cardinale Berardin, il primo porporato americano di origine italiana, fautore della Chiesa dei poveri.

Fu allora che conobbe una giovane collega, dedita anche ella al suo stesso impegno, pur appartenendo alla borghesia di origine africana, a quella parte privilegiata della sua gente che avrebbe potuto facilmente integrarsi nella società di origine europea.

Fu la fidanzata che lo portò a frequentare una chiesa evangelica il cui pastore, tacciato di estremismo dai benpensanti, difendeva le cause dei diseredati non soltanto americani, ma soprattutto del Terzo Mondo: nella sua predicazione la causa dei neri d’America si saldava con tutte le esperienze rivoluzionarie dei Continenti già dominati dal colonialismo bianco, nel nome di un pensiero politico più vicino a Malcom X che a Luther King.

Non c’era però, nei due giovani avvocati suoi fedeli, nessuno snobismo intellettuale, bensì un impegno autentico, vissuto nella politica tanto quanto nella professione.

La povera gente di South Chicago avrebbe eletto Senatore il giovane professionista venuto dal Terzo Mondo, più africano che afro americano, più vicino alle lotte di liberazione che all’America kennediana dei diritti civili.

Il reso è storia recente: l’elezione alla Presidenza alla tesata di una coalizione in cui ancora una volta l’America delle minoranze, delle stratificazioni sociali accumulate nell’Asilo degli Oppressi avrebbe dimostrato non solo di essere maggioranza, ma anche di detenere l’egemonia, di sapere interpretare in modo credibile ed autentico lo spirito libertario ed egualitario della grande Nazione.

Con Obama c’erano tutti i neri e tutti i latinoamericani, ma anche la maggioranza degli irlandesi, degli italiani, degli ebrei: la coalizione multicolore, la rappresentazione della “razza universale”.

Paradossalmente, fu il momento più alto della politica sociale di Obama a creare qualche problema con la Chiesa, quando il Presidente finalmente aggiunse quanto mancava alle conquiste del “New Deal” di Roosvelt, della “Nuova Frontiera di Kennedy e della “Grande Società” di Johnson: l’assistenza sanitaria gratuita.

Ci fu tra i cattolici chi obiettò sul fatto che la mutua garantisse le pratiche abortive: il voto dei deputati cattolici fu garantito rimettendo ai datori di lavoro, tra cui molte istituzioni religiose, la possibilità di escludere queste pratiche tra le prestazioni offerte dallo Stato grazie ai loro contributi.

Queste polemiche sembrano ora rientrate per via di un Pontificato che giudica le Autorità civili – certamente anche in base all’adesione ai “valori non negoziabili” –  ma in modo più pressante secondo i parametri della giustizia sociale. Oggi i due uomini più influenti del mondo vengono entrambi dal Meridione del pianeta, e vengono entrambi da quelle periferie geografiche ed esistenziali che combattono contro la miseria e l’emarginazione.

Certamente avranno molto da dirsi, e molto da condividere considerando le rispettive esperienze. Non è un caso che i cardinali nordamericani siano stati tra i grandi elettori di Bergoglio forse i più decisivi, facendo contare il loro contributo economico alla Chiesa, ma anche tenendo conto del fatto che il Cattolicesimo è sempre più espressione culturale e spirituale del Sud del mondo: basta andare a messa in una città degli Stati Uniti per rendersene conto: sempre più spesso si sente pregare in spagnolo.

Certamente, Bergoglio offre ad Obama un importante appoggio nella crisi ucraina, con la Chiesa Cattolica latina ed uniate schierate nella difesa dell’indipendenza di quella Nazione, e certamente il Presidente sa che ogni tentativo di destabilizzazione dell’Occidente passa per un tentativo di dividere il Cattolicesimo in Europa.

Soprattutto, però, entrambi sono coscienti di trovarsi ai loro rispettivi posti perché sono i poveri che li hanno voluti, e che tanta parte dell’umanità vede in loro una speranza di riscatto e di giustizia. L’uomo che viene dai ghetti neri di Chicago e l’uomo che viene dai sobborghi di Buenos Aires  sapranno rispondere insieme a queste attese dei poveri.

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Alfonso Maria Bruno

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