Polemiche per la delibera della Regione Lazio che incoraggia "l'aborto fai da te"

L’onorevole Olimpia Tarzia definisce la somministrazione della Ru486 in day hospital “una forzatura ideologica” che espone la paziente a “gravi rischi”

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L’onorevole Olimpia Tarzia e il professor Alberto Gambino stigmatizzano la delibera firmata dal presidente del Lazio Nicola Zingaretti, la quale stabilisce che la somministrazione della pillola abortiva Ru486 potrà avvenire anche in day hospital.

Se fino ad ora era previsto un ricovero di tre giorni, il nuovo protocollo prevede invece che la paziente potrà assumere la pillola in ospedale, tornare a casa e ripresentarsi per una visita ambulatoria finale entro 21 giorni dalla somministrazione del farmaco.

La Tarzia, vicepresidente della V commissione cultura della Regione Lazio, definisce la delibera “una grave forzatura ideologica in un panorama già di per sé preoccupante come quello della Regione Lazio, dove solo nel 2012 si sono registrati 12.000 aborti, senza contare la stima ancora impressionante degli aborti clandestini”.

La delibera della Giunta laziale non tiene conto delle “indicazioni del Governo riguardo l’obbligo di ricovero ospedaliero in regime ordinario per tutti i giorni necessari al completamento dell’atto abortivo”. Pertanto, essendo la somministrazione della Ru486 “un aborto procurato a tutti gli effetti”, l’onorevole Tarzia ritiene “inconcepibile” il comportamento della Regione.

Non ci sta inoltre, Olimpia Tarzia, a sottovalutare l’entità della Ru486. “Stiamo parlando – afferma – di una sostanza chimica che, oltre che porre fine ad una vita umana, può comportare gravi rischi per la salute e per la vita stessa della donna(come già accaduto)”.

Del resto, l’aborto chimico “non è affatto meno traumatico di quello chirurgico e può comportare pesanti complicazioni, sul piano fisico e su quello psicologico”, commenta la Tarzia. “Nel 10% dei casi – spiega – l’assunzione della pillola Ru486 può portare a copiose emorragie con conseguente necessità di trasfusioni sanguigne”.

La delibera Zingaretti è vista poi come una violazione della legge 194, poiché quest’ultima prevede che “tutta la procedura abortiva deve avvenire entro le strutture ospedaliere: nell’80% dei casi l’espulsione dell’embrione morto avviene durante la terza giornata”.

“Le Istituzioni – lamenta la Tarzia – nel loro doveroso compito di tutela sociale della maternità, dovrebbero offrire soluzioni alternative al ricorso all’aborto, spesso dettato dalla solitudine e dalle pressioni sociali ed economiche che quasi sempre opprimono una donna di fronte ad una gravidanza inattesa”.

E la delibera Zingaretti procede proprio in direzione opposta, in quanto “sta gettando le basi per incoraggiare ‘l’aborto fai da te’ lasciando le donne ancora più sole a gestire un vero dramma nel bagno di casa”.

Pertanto, la Tarzia porge un paio di domande: “Questo, secondo la giunta di centrosinistra, è attribuire ai consultori ‘il giusto ruolo e la dignità che meritano questi servizi, nel campo della prevenzione, dell’assistenza e del diritto alla salute’? Questa sarebbe la riqualificazione e il rilancio dei consultori che ha in mente?”.

“Forse bisognerebbe ricordare al Presidente e a quanti oggi esultano per questa delibera, che la legge 194, da loro così difesa, all’art. 5, cita testualmente che: ‘Il consultorio ha il compito di esaminare con la donna e con il padre del concepito le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza’”.

Conclude la nota diffusa dall’ufficio stampa di Olimpia Tarzia: “Con questa delibera la Giunta sceglie, invece, di lavarsene le mani, riesumando un vecchio slogan tanto caro ad un certo veterofemminismo, ma ribaltandoglielo contro: ‘l’utero è tuo e te lo gestisci tu’”.

Dello stesso parere assai critico di Olimpia Tarzia è anche il professor Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma. “La legge 194 parla di ricovero fino all’interruzione della gravidanza – spiega il professore -, in quanto con l’aborto chirurgico il  momento dell’interruzione della gravidanza e il momento  dell’asportazione del feto coincidono, mentre è fuorviante far intendere  che la Ru486 potrebbe essere somministrata in ospedale e poi la donna  possa uscire ed espellere l’embrione-feto nel bagno di casa in totale  solitudine”.

“Questa prassi – conclude il docente dell’Università Europea – è provocata  dall’interesse a diminuire i costi della procedura abortiva, riducendo i  giorni di ricovero e, così, normalizzando – cioè rendendo una pratica ‘fai-da­-te’ – l’aborto farmacologico, con evidenti rischi per la donna  che, una volta uscita, nella fase dell’espulsione dell’embrione-feto potrebbe incorrere in gravi e talvolta fatali emorragie”.

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Federico Cenci

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