L’attualità della Humanae Vitae e della Familiaris Consortio ma, soprattutto, l’indissolubilità del matrimonio sacramentale, sono tra i temi trattati dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, in una lunga intervista rilasciata al quotidiano Il Foglio, di sabato 15 marzo.
Il porporato si è soffermato sull’impossibilità di una revisione del magistero sul matrimonio, tuttavia le sue parole sono state strumentalmente utilizzate da alcuni organi di stampa, per contrapporre la sua visione “conservatrice”, a quella di papa Francesco, ritenuta da taluni più “aperturista”.
Le parole del cardinale Caffarra, tuttavia, sono semplicemente espressione di un’ortodossia dottrinale che niente affatto confligge con gli assunti sulla misericordia del Santo Padre, né tantomeno si pone il polemica con quest’ultimo.
Secondo Caffarra, è errato affermare che la Familiaris Consortio sia ormai un documento inattuale, nella misura in cui, evitando una “logica casuistica”, guarda nella direzione del “Principio”. Il richiamo che il beato papa Giovanni Paolo II faceva in questa sede, è a guardare “là dove l’uomo e la donna vengono all’esistenza nella verità piena del loro essere uomo e donna chiamati a diventare una sola carne”.
La Familiaris Consortio ribadiva che “la Chiesa ha un soprannaturale senso della fede, il quale non consiste solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli”, in quanto essa, nella dottrina sul matrimonio come in altri ambiti, “seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere. E in questo difende i poveri e i disprezzati”, ha spiegato Caffarra.
Si tratta di un documento, ha aggiunto il cardinale, che porta i fedeli “alle radici delle questioni” e che, con lungimiranza, già trent’anni fa, affrontava il tema dei divorziati risposati.
Anche la Humanae Vitae è connotata da uno sguardo profetico, in particolare quando sottolinea l’inscindibilità tra sessualità e procreazione, messa in discussione a quei tempi, nel 1968, dalla diffusione dei metodi contraccettivi e, oggi, anche dalle maternità surrogate e dalla pratica della fecondazione artificiale che altro non sono se non la rivendicazione del “diritto ad avere un figlio”.
Quando si parla dell’atto sessuale, prima ancora di stabilire norme, è necessario individuare quale sia “il bene del rapporto coniugale” e la sua “verità intima”.
Pertanto chi – anche tra i cattolici – afferma che il magistero e la Humanae Vitae creano confusione e vengono disattesi, probabilmente non è al corrente “di quanto si è fatto sul piano scientifico a base di una naturale regolazione dei concepimenti” e delle “innumerevoli coppie che nel mondo vivono con gioia la verità” di questa enciclica.
In risposta al cardinale Walter Kasper, che aveva espresso il suo timore che le aspettative riguardo al Sinodo rimangano deluse, Caffarra afferma che, nell’ambito della morale familiare, l’opinione dei cattolici nel mondo è molto eterogenea: il 75% dei paesi africani, ad esempio, sono contrari all’ammissione dei divorziati risposati all’eucaristia, a differenza di quanto avviene in Germania, in Austria e in Svizzera.
“È dunque l’Occidente il paradigma fondamentale in base al quale la Chiesa deve annunciare? Siamo ancora a questo punto? Andiamo ad ascoltare un po’ anche i poveri”, ha dichiarato l’arcivescovo di Bologna.
Proseguendo nell’intervista, Caffarra denuncia la carenza di una vera pastorale familiare, in particolare nella formazione delle giovani coppie: “chiediamoci se abbiamo annunciato veramente il Vangelo del matrimonio, se l’abbiamo annunciato come ha chiesto Gesù. E poi, perché non ci domandiamo perché i giovani non si sposano più?”, ha dichiarato.
Se i matrimoni oggi sono in calo, ciò non è dovuto soltanto a “ragioni economiche”: trenta o quarant’anni fa, ha osservato il cardinale, le difficoltà per le giovani coppie non erano minori, tuttavia era la “speranza nel futuro” a prevalere.
Di fronte alla domanda primordiale se il matrimonio sia indissolubile oppure no, è fondamentale guardare al “principio” e non ai casi estremi: non ha molto senso “guarire dei sintomi senza affrontare seriamente la malattia”, né la Chiesa potrà evitare di domandarsi se i cambiamenti odierni (diminuzione dei matrimoni, aumento delle libere convivenze, introduzione del “matrimonio omosessuale”) siano o meno “processi storici di cui essa deve prendere atto e dunque sostanzialmente adeguarsi”.
Quanto alla possibilità di una riammissione dei divorziati risposati alla comunione, Caffarra risponde che “sul matrimonio rato e consumato il Papa non ha nessun potere”. Approvare quindi una convivenza successiva al matrimonio fallito, potrebbe portare qualcuno a domandare: “perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali?”.
Si introdurrebbe allora una prassi che, a lungo andare, infonderebbe nei fedeli la convinzione che “non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile”: un assunto “certamente contro la volontà del Signore”, ha detto il porporato.
L’indissolubilità del matrimonio, ha proseguito Caffarra, non è né una “norma”, né un “ideale” cui i coniugi devono tendere: si tratta, piuttosto, di un “dono” e “Dio non si pente mai dei suoi doni”.
Parlando della misericordia applicata alla morale matrimoniale, l’arcivescovo di Bologna ha insistito sul rischio di cadere nella morale farisaica con il suo “dilemma tra la persona e la legge”.
Prendendo spunto dall’episodio evangelico dell’adultera, Caffarra ha ribadito che “l’adulterio è un grande male che distrugge la verità della persona umana che tradisce”, tuttavia, “Gesù, per toglierlo, non distrugge la persona che lo ha commesso, ma la guarisce da questo male” e le raccomanda di non cadervi più. Se, da un lato, è possibile perdonare ogni peccato – anche i più terribili, come l’omicidio – nel caso del divorzio, il pentimento significa “tornare al primo matrimonio”.
Il porporato fa poi un’ultima considerazione sul sacramento della confessione e sul rapporto tra confessore e penitente: quanto quest’ultimo ascolta nell’omelia è la sua “verità” ed ha a che fare con la sua “libertà, ferita e fragile”.
In confessionale, il sacerdote non potrà mai predicare “per misericordia” una legge diversa da quella del pulpito, altrimenti vanificherebbe la misericordia stessa e “l’uomo potrebbe convincersi che non è ammalato, e quindi non è bisognoso di Gesù Cristo”.
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Testo integrale intervista: http://www.ilfoglio.it/soloqui/22326