Se veramente ampio negli ultimi cento anni è stato lo scavo in direzione della presenza dell’aristotelismo, altrettanto dibattuta è stata la fedeltà di Dante al pensiero di Tommaso d’Aquino, ed altresì molto è stato scritto sui rapporti tra Dante e Sant’Agostino, è invece più recente, ancorché non secondaria, l’indagine sulle fonti bonaventuriane, o, più in generale, francescane, assunte come luoghi che hanno detenuto e convogliato l’espressione più vicina e accessibile a Dante della mistica monastica, soprattutto degli autori Cistercensi e della scuola di San Vittore.
È in questo campo di indagini e di letture delle tematiche e delle fonti del pensiero di Dante che Ricardo Lucio Perriello si inserisce con una proposta sicuramente inedita, per certi versi audace, ma che, dopo averla seguita attentamente, personalmente giudico stimolante e meritevole di essere presa in seria considerazione.
Su quali basi formulo questo parere? Perché, nel caso di un autore come Dante, non si può dire mai di avere esaurito la comprensione delle sue molteplici tematiche, figure, analogie, tanto meno delle innervature che innesca il suo cammino anagogico, della forza creativa e immaginativa del suo viaggio nel mondo “ultraterreno”, che in realtà è l’ulteriore che accoglie la trasformazione del mondo terreno, soprattutto del mondo umano, in una vicenda metamorfosizzante, per la forza di un affidamento al mito e sotto la spinta di una allegoresi poetica potenziata dalla genialità del cantore-viaggiatore, autorizzata in virtù di un “mandato” biograficamente attestato, cronologicamente tracciato e detentore del compito di trasmettere un messaggio veritiero.
Una autentica “rivelazione” come “Offen-barung”, una manifestazione aperta e non ingannevole dello stato delle anime dopo la morte, di quelle già trapassate, ma proletticamente esigente un esame di coscienza critico da parte di quanti nel 1300 sono ancora vivi sulla terra: ad essi è chiesto di proiettarsi, nonostante la comprensibile grande riluttanza, sul come saranno accolte le loro anime nel momento in cui deporranno le spoglie del corpo.
Le appassionate pagine di Perriello possono in quest’ottica contribuire a incrementare gli spazi dell’approfondimento delle presenze filosofiche, e metafisiche in particolare, nel poema dantesco.
Resto perplesso ogni volta che mi capita di leggere, e di recente mi è capitato più volte in pubblicazioni dedicate a Dante, la svalutazione degli sforzi ermeneutici di tanti appassionati studiosi, i cui scritti su argomenti danteschi vengono dichiarati superati o inadeguati perché non viene riscontrata in essi l’attenzione a un singolo tema o a una possibile fonte, che invece per i critici sarebbe decisiva per accostarsi a Dante.
Ho la sensazione che in diversi casi l’attenzione al dettaglio erudito, come pure l’ipervalutazione narcisistica del tema preferito, inducano un eccesso di presunzione nella critica, e finiscano per configurare l’atteggiamento poco accorto che è ben illustrato dalla parabola della luna e il dito: quando un saggio addita la luna, lo sciocco si sofferma a guardare il dito
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Il testo completo del prof. Ghisalberti si può leggere in: http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/la-scienza-del-bene-e-del-male-nella-divina-commedia.html