Come si può parlare di dolore salvifico? Non è una contraddizione in termini? La sofferenza non è forse intralcio alla felicità e motivo di allontanamento da Dio? Senza dubbio esistono tribolazioni che, dal punto di vista umano, sembrano prive di qualunque significato. Perché Gesù, Verbo incarnato, ha proclamato «beati gli afflitti» (Mt 5,4), cioè “felici” coloro che ora soffrono? Esiste un punto di vista più alto, quello di Dio, che tutti chiama alla vita e non alla morte, una prospettiva che ci è chiesto di assumere.
Per essere veramente soci di Cristo occorre prendere su di noi le paure che sono nel mondo (paura di Dio, paura di se stessi, paura degli altri, paura delle differenze, paura dell’avvenire, paura di soffrire, paura di morire), perché siano terapizzate dall’irruzione della speranza che l’amicizia del Cristo risorto, il suo essere nostro Socio ci procura. Come può fiorire il sorriso o la letizia dal dolore o dal travaglio di una carne martoriata?
Lasciamoci prendere per mano da Cristo: fin quando staremo sulla terra, la sua mano sarà “il braccio della croce”. Sì, il braccio della croce, perché la presenza di Gesù non è assenza di male, ma capacità di vincere il male. Chi tende la sua mano verso il braccio crocifisso di Gesù, e la tiene stretta a lui senza dubitare, sa che ogni croce dal Signore sarà resa gloriosa e con Gesù ritroverà la gioia. Perché breve è il dolore, eterna è la gioia. E la gioia aumenta la nostra e l’altrui comprensione del dolore.
Scrisse, un giorno, l’americano Mark Twain: «Il dolore può bastare a se stesso, ma per apprezzare a fondo una gioia bisogna avere qualcuno con cui condividerla» (in Seguendo l’Equatore). Prima di andare incontro alla sua passione, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete… ma la vostra afflizione si trasformerà in gioia… nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,20.23a).
La gioia di Dio non si esaurisce, anche se saccheggiata dal male e dal maligno, anche quando è mista al pianto di chi piange i propri fallimenti. Perché la gioia di Dio è Dio! E nessuno potrà mai toglierci Dio dal cuore; nessuno potrà mai sottrarci la sua presenza, così che si esaurisca. Gesù, nella sua ultima preghiera prima di lasciare il Cenacolo e dirigersi verso il Getsemani, guardando al mondo e all’odio che il mondo riserva a Cristo e ai suoi discepoli, consegnò i suoi al Padre con queste parole: «Abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17, 13). La gioia vera è lotta: dobbiamo imparare a conquistarla e ancor più a non smarrirla. Cristo ha sconfitto la morte per regalarci la gioia; noi dobbiamo fidarci di Cristo e, ogni giorno, chiedere a lui il segreto della vittoria.