Dapprima fu considerata una protesta di piazza contro il presidente Assad, destinata ad ogni modo ad esaurirsi in poche settimane. Fu ascritta nell’elenco delle cosiddette “primavere arabe”, percepite in Occidente come una brezza passeggera. Ben presto, tuttavia, si capì che il tempo, in Siria, piuttosto che placarle, le tensioni, le acuiva. Si iniziò così a parlare di crisi siriana, di conflitto armato, sino a giungere alla crudele presa d’atto: la Siria è dilaniata da una sanguinosa guerra civile.
Sono passati tre anni da quel 15 marzo 2011, quando i primi drappelli di contestatori si radunarono nelle piazze di Damasco e Aleppo. Alcune stime, non ufficiali, parlano di 146 mila morti e circa 9 milioni di sfollati.
Così mons. Mario Zenari, Nunzio Apostolico a Damasco, si interroga a tre anni dall’inizio delle ostilità: “Proprio in questi giorni, fuori Damasco vedevo la primavera che sta arrivando con irruenza, i mandorli in fiore, e pensavo: quand’è che si vedrà la cosiddetta Primavera araba, una Siria rinnovata, che è poi nell’intenzione e nel desiderio di tutti?”.
“Purtroppo - riflette il Nunzio Apostolico, intervistato da Radio Vaticana -, qui da tre anni la gente invece si trova con un gelo, con queste statistiche terribili. Però, di fronte a questo quadro, credo che non dobbiamo perdere la fiducia, la speranza, quello che continuamente insomma ci dice il Santo Padre e che recentemente anche i vescovi cattolici di Siria, riuniti in Assemblea plenaria, hanno richiamato, incoraggiando i fedeli a mantenere la fiducia, a fare leva sulla forza della preghiera e a dare la testimonianza della solidarietà in questo momento così difficile”.
Come in ogni conflitto, chi paga un prezzo grave sono le minoranze. In Siria - spiega mons. Zenari - i cristiani “sono sfollati interni”. È per questo che il Nunzio Apostolico auspica “un messaggio di speranza dei vescovi siriani che incoraggiano a cercare, nel limite del possibile, di rimanere qui, nella loro terra”. Del resto, i cristiani rappresentano “un’apertura, una finestra sul mondo, con il loro sentimento così universale”. E il presule inoltre aggiunge: “Ho sentito anch’io dei capi religiosi musulmani che si sono detti dispiaciuti di certi attacchi che certe comunità cristiane hanno subito, che hanno rigettato certi comportamenti da parte di estremisti. Inoltre, vogliono e desiderano che i cristiani rimangano”.
Nei giorni scorsi Gregorios III Laham, Patriarca greco-melchita di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, ha riferito che “ad oggi le chiese, i luoghi di culto e i santuari cristiani colpiti, danneggiati o profanati, sono 91”. Gli autori sono gli appartenenti a quelle stesse milizie armate che, aggiunge il Patriarca, “composte da combattenti stranieri, non controllabili dall’opposizione”, ostacolano gli aiuti umanitari.
Chi in Siria in questi tre anni si è adoperata infaticabilmente per aiutare la popolazione è la Croce Rossa. Il suo presidente italiano, Francesco Rocca, ha dichiarato a Radio Vaticana che “c’è una finta normalità che regna a Damasco. Non si sente più il rumore di artiglieria ma in realtà, come si esce dal centro città e si arriva nella periferia, le immagini cambiano completamente: palazzi distrutti, abbandonati o occupati dai rifugiati. Gli sfollati interni hanno raggiunto i sei milioni e vivono senza elettricità, né acqua corrente”.
Rocca ha inoltre riferito che “è la prima volta che ho provato su di me veramente il peso della vergogna, dell’assenza della comunità internazionale”. E ha infine approfondito il suo pensiero: “Abbiamo fatto conferenze, abbiamo cercato aiuti ma il problema è di accompagnare l’azione umanitaria concretamente. Ci sono partner con cui noi entriamo in azione tutti i giorni – parlo anche come Italia – su cui dobbiamo spendere una parola importante perché la responsabilità non è soltanto dei siriani ma anche di chi è armato e di chi sostiene tutto quello che sta avvenendo”. (F.C.)