Dal buio della miniera alle luci della ribalta

Un film, del regista fiammingo Stijn Coninx, racconta la storia di Rocco Granata, figlio di un minatore emigrato in Belgio, conosciuto in tutto il mondo grazie alla canzone «Marina»

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La vita dell’adolescente Rocco Granata, il cantante tornato attualmente agli onori della cronaca grazie al bel film Marina a lui dedicato, è simile a quella di molti figli di emigrati italiani. Suo padre, Salvatore, era un minatore originario di Figline Vegliaturo, un villaggio in provincia di Cosenza, che nel primo dopoguerra emigrò in Belgio per lavorare nella miniera di Waterschei, nel Limburgo fiammingo, portandosi dietro la famiglia con il figlio Rocco, nato dieci anni prima (nel 1938).

Oltre ai pericoli della miniera (anche quella di Waterschei, come quella più tristemente nota di Marcinelle, ha dato il suo contributo di vittime: basti ricordare le trenta uccise dallo scoppio del marzo 1929), i Granata dovevano affrontare i disagi della vita nelle baracche, l’ostilità dei locali, le difficoltà di una lingua, il fiammingo, così diversa dalla loro, un clima ben più ostile di quello del Sud Italia, e mille altri disagi.

Scavando carbone nelle profondità dei pozzi, in mezzo alla polvere che distruggeva i polmoni, il padre auspicava una vita diversa per Rocco, anche se questi, come figlio di minatore, era destinato ineluttabilmente a seguire le orme paterne, data l’impossibilità di trovare altre strade, in base anche ai rigidi protocolli burocratici che governavano la vita dei minatori italiani.

Rocco stesso aveva altre ambizioni oltre a una sfrenata passione per la fisarmonica, ereditata dal padre, che suonava nelle feste di paese. Dopo i primi passi in un gruppo musicale da lui stesso fondato, Rocco arrivò alla fama quasi per caso, nel 1959, grazie alla canzone Marina. La protagonista del brano in realtà non esiste; Rocco trasse ispirazione da un grande cartellone pubblicitario di una marca di sigarette con quel nome: guardandolo, cominciò a canticchiare casualmente il motivo di quello che poi sarebbe diventato un successo mondiale. Neanche Rocco si era reso conto delle potenzialità del brano, al punto tale che lo registrò sul lato B di un suo disco (il lato principale proponeva Manuela).

«Marina»: dalla canzone al film

Il recente film Marina è in realtà dedicato più al padre Salvatore che a Rocco. Si vede la sua partenza dal paesino natale, l’arrivo con la famiglia nella misera baracca e i primi contrasti col figlio che vuole seguire la sua vocazione musicale mentre il padre si preoccupa del futuro, per cui vorrebbe per lui un lavoro sicuro. Su questo rifiuto del padre ad accettare quello che a lui sembra solo un passatempo di Rocco e sui continui scontri tra i due è incentrato l’interesse del film, nel quale si racconta comunque il successo dell’autore di Marina e la rappacificazione finale tra padre e figlio. Simbolicamente, alla fine del film, il padre esce in strada portando la radio che trasmette da un prestigioso teatro la canzone del figlio ormai nota in tutto il mondo, e a lui espressamente dedicata, per farla sentire ai vicini. Da non dimenticare anche il ruolo della madre di Rocco, Ida, che aiuta segretamente il figlio lavando la biancheria dei colleghi minatori del marito. Molto divertente, al riguardo, la scena in cui Ida, a passeggio per strada con Salvatore, è salutata da tutti i minatori che incontra, suoi clienti, provocando la gelosia del marito che ignora l’origine di queste conoscenze.

Al di là di tutto, il film è interessante perché mette in risalto le difficoltà di un migrante costretto a vivere in un ambiente ostile: il buio dei cunicoli in fondo alla miniera, la tosse cronica causata dalla silicosi, il fango davanti alle baracche, il malcelato disprezzo degli abitanti del posto, l’arroganza dei gendarmi e dei dirigenti della miniera, la nostalgia per il paese lontano e, nello stesso tempo, il rifiuto delle nuove generazioni (lo dice la sorella di Rocco) di tornare là, dove sarebbero di nuovo degli estranei, proprio com’erano appena arrivati in Belgio.

Anche la storia d’amore tra Rocco e la bionda fiamminga Helena è paradigmatica: l’opposizione del padre di lei, la rivalità col ricco corteggiatore fiammingo, l’accusa ingiusta di stupro, tutto questo mostra le difficoltà di chi voleva inserirsi in un contesto così diverso. Anche il Rocco reale ha una particina nel film: è il venditore di fisarmoniche che aiuta il ragazzo a seguire la sua passione, nonostante il costo proibitivo dello strumento. 

Marina è un bel film, commovente ma non triste, ben diretto dal regista fiammingo Stijn Coninx, ottimamente interpretato soprattutto dall’attore Luigi Lo Cascio (Salvatore nel film), da Matteo Simoni (Rocco) e da Donatella Finocchiaro (Ida, la madre mediatrice tra marito e figlio). Anche l’uso delle due lingue, il dialetto degli italiani e il fiammingo duro dei belgi, serve a dare una pennellata realistica al grande affresco della comunità italiana di allora. 

Vedendo il film il pensiero corre per analogia a un altro italiano di successo, la cui vita scorre parallela a quella di Rocco: il cantante Salvatore Adamo, emigrato con la famiglia da Comiso, in Sicilia, per lavorare nelle miniere del Borinage, nel Sud francofono del Belgio. Stessa dura lotta per la sopravvivenza, stesse difficoltà, il tutto coronato poi da un successo (cento milioni di dischi venduti) che dura ancora oggi.      

di Gianluigi Comini

(Articolo tratto dal «Messaggero di sant’Antonio» edizione italiana per l’estero di marzo 2014) 

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ZENIT Staff

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