Tendenze e prospettive geopolitiche della crisi ucraina

La drammaticità degli accadimenti è tale che solo una seria azione diplomatica improntata sul dialogo potrebbe ripristinare una situazione di normalità 

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La profonda crisi apertasi in Ucraina sta facendo aumentare, e non di poco, la tensione internazionale. Tale situazione riflette il nuovo contesto geopolitico uni-multipolare in cui si staglia che vede gli Stati Uniti in piena parabola discendente. Questi, operando ormai da anni da una posizione difensiva, cercano di recuperare terreno attraverso delle autentiche forzature negli spazi di influenza dei nuovi poli emergenti.

Difatti, come si è potuto notare dal susseguirsi degli eventi, il caso Ucraina presenta, in maniera anche piuttosto evidente, tutti quegli elementi che stanno alla base della strategia statunitense, meglio nota con la locuzione di “Regime Change”. Tale strategia, già messa in campo negli ultimi anni in Libia e che ha portato la Siria nel caos, è oggi utilizzata contemporaneamente per l’Ucraina e il Venezuela ed è chiaramente finalizzata ad ottenere un’alternanza nei governi di detti Paesi partendo, per l’appunto, dalla loro destabilizzazione interna.

A fronte di questo breve quadro introduttivo, e stando a quella che è la situazione di questi giorni che vede l’Ucraina polarizzata su una pericolosa linea di faglia etnica e minacciata nella sua integrità territoriale, con il parlamento di Crimea che ha già fissato la data del referendum per annettere la regione a Mosca, viene da chiedersi quali scenari potrebbero aprirsi in futuro. Sicuramente la linea dura messa in atto da Washington, consistita nella sospensione di ogni forma di cooperazione militare e commerciale con la Russia e che punta al suo nuovo isolamento internazionale, non agevolerà la situazione, potendo, al contrario essere foriera di un’escalation di violenze. Ciò in quanto la Russia, com’è noto, non è più lo Stato indebolito degli anni di Eltsin per come si evince chiaramente dalla sua presenza – di grande peso e successo, peraltro – su più tavoli internazionali, sia di carattere politico che di carattere economico.

A tal proposito, basti considerare l’importanza che riveste l’aggregato dei BRICS e il loro progetto di Banca di Sviluppo, che si pone in netta contrapposizione con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. In ragione di ciò potrebbe accadere che le sanzioni praticate dagli Stati Uniti non solo non la danneggerebbero a livello economico ma, paradossalmente, ne accentuerebbero la presenza sugli altri tavoli internazionali, con una conseguente accelerazione del processo di cambiamento geopolitico internazionale già in atto.

È indubbio che una tale situazione non porterebbe alcun giovamento per l’Unione Europea “costretta” a convivere in un clima di tensione e a subire le varie ripercussioni a livello commerciale e in tema di approvvigionamenti energetici. E proprio con riferimento all’UE certamente non può tacersene la palese responsabilità. Ad essa, infatti, possono essere contestate delle colpe storiche non indifferenti. Su tutte, quella di non aver mai voluto definire i suoi confini orientali e di aver rifiutato il dialogo offerto da Putin nei primi anni 2000 per giungere ad un pacifico compromesso su tali punti.

Altra colpa è quella di aver polarizzato, dopo la Rivoluzione Arancione del 2004, la parte occidentale del Paese spingendo la Russia a comportarsi conseguentemente nella fascia orientale; ciò con la differenza – per nulla irrilevante – che l’UE ha agito senza avere alle spalle una forza effettiva che le permettesse di comportarsi in tal senso.

La drammaticità degli accadimenti è tale che solo una seria azione diplomatica improntata sul dialogo potrebbe ripristinare una situazione di normalità. Su questo l’UE dovrebbe, e potrebbe, giocare un ruolo fondamentale che gli permetterebbe tanto di sperimentarsi come forza pacifica e di dialogo per la risoluzione e la gestione delle crisi, quanto di definire la sua zona di influenza orientale, garantendo così la pacificazione dell’intera area nonché un effettivo rapporto diretto con l’importante vicino russo.

Infine, non vanno sottovalutati i problemi che potrebbero sorgere tra i Tatari di Crimea se quest’ultima finisse sotto il “controllo” russo. I Tatari infatti rappresentano una cospicua fetta della popolazione della regione (il 13%) e già si sentono fortemente marginalizzati. Inoltre, se si considera che la maggior parte di loro è prevalentemente di religione islamica sunnita, non è da escludere il pericolo di infiltrazioni qaediste con l’intento di seminare il terrore per destabilizzare la Federazione Russa.

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Filippo Romeo

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