Corea del Sud, dove il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani

Padre John Jong-su Kim, rettore del Collegio coreano di Roma, racconta l’emozione per la beatificazione dei 124 martiri coreani che avverrà, ad agosto, in presenza di papa Francesco

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Il legame che unisce la Corea al Cristianesimo è tanto profondo quanto recente. Il Paese asiatico, infatti, è stato evangelizzato appena tre secoli fa, ma in questo breve lasso di tempo è passato attraverso violente persecuzioni in odium fidei, gloriosi esempi di martirio e un fermento spirituale che rende oggi alla Corea del Sud il primato mondiale di battezzati adulti.

Una nuova scossa di entusiasmo ha attraversato il Paese il mese scorso, quando papa Francesco ha approvato la promulgazione del decreto che riconosce il martirio di 124 martiri coreani uccisi tra il 1791 e il 1888. Evento che, come ha spiegato a ZENIT padre John Jong-su Kim, rettore del Collegio coreano di Roma, “è stato accolto con grande favore non solo da parte dei cristiani, ma da tutto il popolo coreano”. Del resto, a differenza di quanto avviene in altri Paesi dell’Asia, laddove il Cristianesimo è percepito come una pericolosa “contaminazione occidentale”, in Corea del Sud l’intero popolo riconosce nel messaggio evangelico valori di “solidarietà, giustizia e pace”.

Si tratta di quei valori che ebbe modo di approfondire, primo tra i coreani, Lee Seung Hun nel 1784. Questo diplomatico erudito studiò il Vangelo durante una sua missione a Pechino, rimase persuaso e, fattosi battezzare con il nome di Pietro, iniziò a diffonderne l’annuncio una volta rientrato in patria. “Con il tempo – spiega padre John – i primi cristiani coreani entrarono in contatto con le gerarchie pontificie, chiesero quindi l’invio di un missionario che fu un padre cinese, giunto in Corea alla vigilia di Natale del 1794”. Fu il primo sacerdote nella storia della Corea, si chiamava Zhou Wen-Mo e verrà beatificato anche lui, insieme agli altri 123 martiri, il prossimo agosto.

Le persecuzioni, del resto, infuriarono in Corea sin dalla prima diffusione del Cristianesimo e per tutto il corso dell’Ottocento. “Nel 1791 fu emanato un editto di persecuzione dei cristiani dalla dinastia Chosun”, ricorda padre John. I sovrani ritenevano il Cristianesimo una minaccia per la cultura locale, poiché escludeva “il culto degli antenati, cui invece dovevano sottostare tutti i coreani”.

La situazione per i cristiani rimase drammatica sino alla metà del secolo scorso. La fase culminante fu la fratricida guerra tra le due Coree. Una volta conclusa, nella sola Corea del Sud iniziò una fase di libertà religiosa, che prosegue e si alimenta ancora oggi e consente al Paese di avere un presidente, la sessantaduenne Park Geun-hye, di confessione cattolica. I cattolici sono circa 5milioni e quattrocento mila e rappresentano il 10% della popolazione della Corea del Sud. Padre John attribuisce gran parte del merito di questa vivacità a Giovanni Paolo II, il quale visitò per la prima volta il Paese nel 1984, “quando c’erano neanche due milioni di cattolici”. La presenza del papa polacco suscitò tuttavia un fermento, tanto che “oggi in Corea del Sud il Cattolicesimo è l’unica religione che continua a crescere”.

Nel Nord, tuttavia, quel filone doloroso iniziato con le persecuzioni della dinastia Chosun non sembra interrompersi. A proposito dei rapporti tra Seoul e Pyongyang, padre John ha coniato una definizione peculiare per rappresentarli: “pacifici ma in tensione”. Ossia, prosegue il rettore, “dall’esterno sembra sempre che siamo sull’orlo di un conflitto, ma in realtà i coreani vivono una situazione di relativa tranquillità”.

Nella Corea del Nord, dove governa un regime comunista, ci sono tra i 3mila e gli 8mila cattolici. Padre John ha visitato spesso il Paese, avendo ricoperto la carica di segretario generale della Conferenza episcopale coreana. “Durante le mie visite – racconta – ho chiesto a uno dei leader del Cattolicesimo della Corea del Nord dove fossero queste migliaia di cristiani”. La risposta è stata poco convincente, poiché nella conta effettuata da questo leader rientrano tutti i coreani del Nord che furono battezzati prima della divisione della Corea, risalente ormai alla fine della Seconda guerra mondiale, e dei quali non è più possibile avere tracce sicure.

Oggi ufficialmente in Corea del Nord esiste una Chiesa locale costituita dal governo e guidata da un laico. “Ho conosciuto alcuni appartenenti a questa Chiesa”, confida padre John. Che ironicamente prosegue: “Recitano molto bene i canti cristiani e le preghiere, lo fanno a memoria, dando l’impressione di possedere una fervente fede”. Tuttavia, conclude amaro il rettore che “si tratta solo di una propaganda di regime”.

Le immagini propagandistiche non riescono a nascondere una realtà di indigenza che è assai diffusa in Corea del Nord. “Per questo – racconta il rettore – i cattolici della Corea del Sud svolgono opere di carità inviando cibo e strumenti sanitari” ai loro compatrioti del Nord. Soprattutto, mantengono con loro un legame, malgrado le divisioni politiche, attraverso una preghiera costante.

Durante la visita che effettuerà nella penisola papa Francesco, in occasione della cerimonia di beatificazione dei 124 martiri coreani, è prevista anche una messa “tutta dedicata alla Corea del Nord”, finalizzata alla pace. C’è grande attesa nel Paese. Padre John ci tiene a raccontare un aneddoto che ha ascoltato con le sue orecchie. L’arcivescovo di Seoul, mons. Andrea Yeom Soo-jung, in occasione della sua creazione cardinalizia, una volta inginocchiatosi davanti al Papa, ha ricevuto dal Santo Padre la seguente confidenza: “Io amo tanto la Corea!”. E l’arcivescovo ha dunque risposto: “Anche il popolo coreano ama tanto il Papa”.

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Federico Cenci

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