“Pari opportunità” è una parola che risuona spesso nelle orecchie dei giovani del terzo millennio. C’è la convinzione che le grandi battaglie del femminismo abbiano contribuito a dare maggiore valore alla donna nella società di oggi.
Sarà vero? Per rispondere a questa domanda basterebbe volare in uno dei Paesi in cui si pratica il mercato delle gravidanze in affitto.
Ci sono coppie eterosessuali e omosessuali che, non potendo avere figli in modo naturale, si rivolgono a questo tipo di commercio. Sfruttano la povertà di donne costrette a “vendere” il proprio bambino per cercare di sopravvivere. E’ la solita legge del dominio dei forti sui più deboli, dei ricchi sui poveri, degli onnipotenti sui più vulnerabili.
E’ accettabile tutto questo? E’ giusto “affittare” il corpo di una donna? E’ giusto “comprare” il bambino che una mamma ha tenuto dentro di sé per nove mesi? E’ giusto che la maternità diventi un “commercio”, un “mercato” di esseri umani?
Nel mondo di oggi si fanno tanti bellissimi discorsi sulle pari opportunità e sulla volontà di tutelare maggiormente le donne. Ma nello stesso momento in cui si parla di questo, partono gli aerei per i Paesi poveri, con a bordo persone che vanno a caccia di gravidanze da affittare.
Dove sono le femministe? Perché non si scandalizzano di fronte a questo “mercato”? Perché non organizzano manifestazioni in piazza, con lo stesso vigore con cui difendono il diritto all’aborto legalizzato?
Le femministe considerano l’aborto libero una grande conquista per il progresso e la civiltà. E lo difendono con forza. E’ nel loro diritto farlo, ma ci siamo chiesti quanta solitudine, quanta sofferenza si nasconde dietro l’aborto legalizzato?
Lo Stato se ne lava le mani. Invece di sostenere le mamme in difficoltà, preferisce eliminare il figlio scomodo.
Le vittime, oltre ai bambini non nati, sono le donne, che vivranno per sempre con un dolore infinito. Eppure basterebbe pochissimo per aiutarle, per tendere loro una mano ed offrire la possibilità di una scelta diversa.
Ricordiamo, a questo proposito, le parole di Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: “Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?”
Nel 1972 John Lennon cantava una canzone dal titolo esplicito: “Woman is the nigger of the world”. Un testo bellissimo e poetico, in cui la donna era definita “il negro del mondo”. Un termine forte, provocatorio, con il quale John Lennon voleva denunciare la condizione di schiavitù delle donne dell’epoca, simile a quella degli schiavi neri d’altri tempi.
Oggi, nel 2014, nulla sembra essere cambiato. Le donne che vendono la propria gravidanza non sono, forse, le nuove schiave del terzo millennio? Viene spontaneo chiedersi: perché accade questo, dopo anni di femminismo militante e di discorsi sulle pari opportunità?
La risposta è semplice. Il femminismo estremista non è mai stato, veramente, dalla parte delle donne. Esso, infatti, non nasce dalla speranza e dalla volontà di creare un mondo migliore, ma dalla rivalità nei confronti dell’uomo. Le sue radici sono nell’odio di un presunto “nemico”, nella rabbia cieca, nell’ossessione di una rivalsa personale.
San Massimiliano Kolbe diceva “Solo l’amore crea”. Solo l’amore può dare buoni frutti. Ciò che non nasce dall’amore non può dare alcun frutto.
Questo è esattamente ciò che è accaduto con il femminismo estremista. E’ stato solo un’illusione. Quello che si pensava essere un progresso sta rigettando la dignità femminile nel regresso più assoluto.
A questo proposito rimangono sempre attualissime le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera alle Donne del 1995: “Normalmente il progresso è valutato secondo categorie scientifiche e tecniche, ed anche da questo punto di vista non manca il contributo della donna. Tuttavia, non è questa l'unica dimensione del progresso, anzi non ne è neppure la principale. Più importante appare la dimensione socio-etica,che investe le relazioni umane e i valori dello spirito: in tale dimensione, spesso sviluppata senza clamore, a partire dai rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, è proprio al « genio della donna » che la società è in larga parte debitrice”.
E’ dal riconoscimento autentico di questo genio che bisogna ripartire, affinché la donna non sia più schiava ma persona nel terzo millennio.