Le immagini, che fissarono il volto dei Pastorelli di Fatima, nel lontano 1917, sembrano trasmetterci l’espressione preoccupata del loro cuore, piuttosto che il segno e il preludio della incommensurabile gioia promessa loro dal Cielo. Viene alla mente un passo del Qoèlet:“È preferibile la mestizia al riso, perché sotto un triste aspetto il cuore è felice”. (Qo 7,3). I tre piccoli vissero e condivisero profondamente la letizia dell’anima, inondata e penetrata dalla radiosa figura di Maria Santissima e ferita per sempre dalla infinita nostalgia di Dio. Avvertirono anche, al tempo stesso, la grave responsabilità di annunciare al mondo il messaggio ricevuto, richiamando gli uomini al loro eterno destino di gloria e ammonendoli circa le terribili conseguenze del peccato.
Lucia stessa, nel lungo corso della sua vita (morirà, quasi centenaria, nel Carmelo di Coimbra, il 13 febbraio del 2005) coniugò costantemente l’ineffabile gaudio del cuore con la premurosa preoccupazione per la sorte di tante anime, affidate al suo amore e alla sua intercessione.
I Pastorelli portarono in sé il riflesso vivo della materna sollecitudine di Maria per il bene, terreno e celeste, dei suoi figli.
La memoria ritorna alla riflessione che Giovanni Paolo II donò alla Chiesa, al termine del Grande Giubileo del 2000. Nella Novo Millennio Ineunte (nn. 26-27)il Santo Padrescriveva che Gesù visse insieme l’unione profonda con il Padre, di sua natura fonte di gioia e di beatitudine, e l’agonia fino al grido dell’abbandono. La compresenza di queste due dimensioni, apparentemente inconciliabili tra loro, trova la sua radice nel mistero insondabile della Persona di Cristo, nel suo Volto al tempo stesso dolente e glorioso. Anche i Santi -osservava Papa Wojtyla- spesso hanno vissuto qualcosa di simile all’esperienza di Gesù sulla Croce, nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore. Nella nostra esperienza spirituale, possono essere presenti la gioia e la sofferenza, il gaudio interiore e il dolore. Osservava Santa Caterina da Siena che l’anima se ne sta beata e dolente: dolente per i peccati del prossimo, beata per l’unione e per l’affetto della carità che ha ricevuto in se stessa. E Santa Teresa di Lisieux verificava, nel suo cuore, il paradosso di Gesù, beato e angosciato: Nostro Signore, nell’Orto degli Ulivi, godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa (NMI 27).
I Pastorelli conobbero pienamente il flagello della prova, della derisione e della incomprensione. Passarono attraverso la persecuzione dei “potenti”; piansero per le loro innocenti colpe, ma più per i delitti, devastanti e crescenti, di tanti uomini; offrirono generosamente sacrifici e rinunzie, la loro solitudine e la malattia per consolare il Cuore offeso di Dio, per riparare con l’Amore i peccati innumerevoli del mondo e per allontanare i castighi meritati.
Il Calvario di Giacinta -vittima della devastante epidemia di infezione polmonare, detta “Spagnola” – si compì nella capitale portoghese, dove la piccola giunse nell’ultima decade del gennaio 1920. Fu ospitata inizialmente nell’orfanotrofio Nostra Signora dei Miracoli, fondato e diretto da Madre Godinho. Il 2 febbraio venne trasferita all’ospedale Dona Estefania, dove concluse il suo cammino terreno, diciotto giorni dopo. Giacinta ripeteva spesso, baciando il Crocifisso: “O mio Gesù, io Vi amo e voglio soffrire molto per amor Vostro!”. La sua sofferenza più grande, come aveva confessato alla cugina Lucia, sua confidente, fu quella di morire lontano dalla propria famiglia, senza alcun conforto umano, totalmente immolata a Dio per la salvezza delle anime. Partendo da Fatima, il 21 gennaio, non voleva staccarsi da Lucia e, tra le lacrime, le diceva, quasi come testamento spirituale: “Non ci rivedremo mai più! Prega molto per me, fino a quando me ne andrò in Cielo. Là, poi, io pregherò molto per te… Ama molto Gesù e il Cuore Immacolato di Maria e fa’ molti sacrifici per i peccatori”. Consapevole dell’enorme sofferenza richiestale, di morire cioè senza il conforto dei suoi carissimi genitori e dei famigliari, osava dire, con la confidenza consentita solo a certe anime elette: “O Gesù, adesso puoi convertire molti peccatori, perché questo sacrificio è grande!”. Da Lisbona fece sapere a Lucia che la Vergine era venuta a visitarla, indicandole l’ora e il giorno in cui avrebbe chiuso gli occhi al mondo. Il fratellino Francesco, di due anni maggiore, l’aveva preceduta in Cielo alcuni mesi prima: si era spento infatti a Fatima, presso la casa paterna, il 4 aprile 1919.
In questo quadro, segnato profondamente dal mistero della Croce, mai venne meno in loro la certezza e la gioia di essere amati e attesi in Cielo. Nulla poté mai cancellare o diminuire in loro la persuasione della bontà, della Provvidenza e della Misericordia del Padre.
Il cammino della Quaresima, offerto ancora una volta alla Chiesa, come occasione di verifica, di discernimento e di autentica conversione -personale e comunitaria- porta in sé, anche per noi, il segno di quella duplice realtà, di dolore e di santa letizia. L’invito alla conversione e alla riparazione -incarnata come costante “stile di vita”- e la imprescindibile centralità della preghiera alimentino in noi il desiderio sincero di impegnare le nostre migliori energie per affrontare, coraggiosamente, la “gioiosa fatica” di ogni giorno.
(Tratto dal mensile “Maria di Fatima”)
P. Mario Piatti icms è direttore del mensile “Maria di Fatima”